11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 19 gennaio 2008

009


C
on la gola riarsa dalla sete, tanto a causa della fatica quanto a causa delle immonde acque che aveva a suo malanimo assaporato in quella palude, Midda cercò di ritrovare le proprie forze e la propria concentrazione nell’avvicinarsi alla fonte di luce in fondo al sotterraneo corridoio in pietra che stava percorrendo.
La donna guerriero, ora in vista della sua possibile meta, si arrestò per riprendere fiato. Rinfoderando per un istante la spada, portò le mani a sistemarsi i capelli dietro alle orecchie per poi iniziare a muovere il capo prima verso destra e poi verso sinistra, a sciogliere i muscoli tesi in movimenti delicati, ma continui, che la videro roteare completamente la testa ed il collo sulle spalle. Concluso con il collo, si dedicò alle spalle ed alle braccia, prima stimolando le congiunture fra omero, scapola e clavicola e poi tendendo il tricipite nel trarre contro un braccio il gomito di quello opposto. Successivamente portò le proprie attenzioni all’avambraccio ed al polso sinistro, ed ancora ai muscoli addominali ed alla schiena, arrivando a far scricchiolare l’intera colonna vertebrale e ricavandone una decisa sensazione di piacere. A concludere quella preparazione, infine, offrì il proprio interesse alla parte bassa del corpo: vita, glutei, gambe, ginocchia, caviglie. Il tutto non le richiese più di qualche minuto, ma come sempre la ritemprò fisicamente ed, ancor più, mentalmente, conducendola al giusta condizione di partenza per affrontare qualsiasi prova le sarebbe ora stata richiesta. Quell’esercizio fisico, a cui si dedicava puntualmente prima di iniziare o proseguire nelle proprie disavventure, era diventato un vero e proprio rituale che le concedeva quasi più riposo e ristoro di quanto non le avrebbe permesso un breve periodo di sonno: molti guerrieri, al contrario rispetto a lei, preferivano concedersi anche solo una decina di minuti di sopore. Ma lei riteneva tale pratica negativa, perché la lasciava non riposata e, soprattutto, intorpidita: con la sua tecnica, con quel suo “rito”, invece, permetteva di ristorare il corpo e la mente senza per questo ritrovarsi ad essere indolente di fronte alle nuove prove.
Conclusi i preparativi e ripulito il metallo del suo braccio destro dalla terra, dal fango e dalla sporcizia, che lo stava ostacolando nelle giunture rendendolo troppo legato, sfoderò di nuovo la spada e riprese ad avanzare verso la luce, pronta a guardare di nuovo in faccia il proprio destino ed a combattere contro di esso fino allo stremo delle forze.

Riabituati gli occhi chiari alla presenza della luce, Midda avanzò con discrezione ma decisione nel corridoio, accostandosi fino all’apertura da cui proveniva il chiarore. Oltre tale apertura, una porta in pietra non dissimile da quella che l’aveva condotta dal budello al corridoio, le si offrì la visione di un’amplia grotta sotterranea, una conformazione naturale di origine calcarea che si estendeva in un’ampiezza di una cinquantina di piedi ed in una lunghezza di un centinaio, prima di curvare verso sinistra e non permetterle di spingersi oltre con lo sguardo. La grotta era illuminata dalla presenza di due file di torce, disposte lungo i lati della medesima: tali fiaccole creavano un bagliore incerto ma costante, raggi di luce che andavano ad infrangersi contro ogni forma generando danze di inquietanti ombre. L’inquietudine di quelle ombre, in effetti, non nasceva tanto dal chiaroscuro, quanto dalle figure che lo generavano: un’infinità incalcolabile di ossa sbiancate, che riempivano quasi integralmente la superficie visibile della grotta ammassandosi in maniera scomposta. Ossa umane che di umano avevano solo la forma perché tutto ciò che un tempo erano state era perso e dimenticato nelle carni non più presenti.
Quella visione lasciò interdetta la donna guerriero, nel dubbio di quale insana fede poteva aver generato un simile mattatoio. Abituata alla morte in ogni suo aspetto, anche in quelli più sgradevoli, non vi furono timori alla vista di quell’orrido spettacolo: solo domande, domande che, sperava, non avrebbero mai trovato risposta.
Non scorgendo alcun apparente pericolo, ella oltrepassò la soglia senza soffermarsi ad offrirle alcuno sguardo come invece aveva concesso alla prima, nel desiderio di non lasciarsi distrarre inutilmente. Ciò che aveva generato un simile cimitero avrebbe potuto giungere da un momento all’altro e lei non desiderava permettere alle proprie ossa di aggiungersi a quella macabra collezione.

Procedendo al centro della grotta, posizione sicuramente più esposta ad eventuali pericoli ma cui poteva dominare più comodamente la situazione, Midda avanzò con passo fermo e posizione di guardia attraverso quel reliquiario, cercando di smuovere il meno possibile le ossa, nonostante per la loro moltitudine fosse quasi impossibile procedere senza calpestarle.
Lo sguardo che attento rimbalzava da un lato all’altro del vasto spazio di fronte a lei, non poteva evitare di deconcentrarsi sovente nel soffermarsi su quei resti umani, osservando l’assoluta pulizia di quelle ossa, una nitidezza che non poteva derivare da un naturale processo di decomposizione: un cadavere, putrefacendosi, avrebbe lasciato frammenti della propria essenza sullo scheletro, si sarebbe magari anche parzialmente mummificato, conservando una minima parvenza di quella che era stata la sua vita. Scheletri così puliti, così perfetti nella loro bianchezza, non potevano che far pensare all’azione di qualche necrofago.
Raggiunta la svolta in fondo alla grotta, la donna guerriero poté rendersi conto della reale vastità di quei sotterranei e, conseguentemente, dell’effettiva portata di quell’orrore. La grotta non terminava, infatti, in quel punto ma proseguiva ben oltre, per almeno un altro centinaio di piedi, prima di assottigliarsi in uno stretto passaggio. Oltre quel cunicolo, tanto breve quanto ridotto rispetto all’ampiezza della caverna, si intuiva un nuovo antro e nulla lasciava ipotizzare che lo spettacolo che si sarebbe là offerto sarebbe apparso diverso da quello in cui lei era già immersa. Alla sua attenta vista non sfuggì, sulla parete alla sua destra, una nuova soglia non dissimile da quella che lei aveva pocanzi attraversato, sempre realizzata in marmo bianco e travertino, sempre presentante dei dettagliati bassorilievi su cui non indugiò con la propria curiosità, sempre estremità di un oscuro corridoio scavato nel cuore della palude.

Accelerando il passo verso il passaggio naturale che aveva visto fra la grotta in cui si trovava e la successiva, Midda iniziò ad intuire la funzione del dedalo di corridoi che aveva percorso e, soprattutto, delle caverne che stava attraversando.
E se la di lei intuizione era corretta, non desiderava assolutamente essere lì sotto nel momento in cui avrebbe potuto trovare conferma.

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