11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 7 giugno 2008

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T
re erano le fasi che costituivano una qualsiasi battaglia regolare, secondo leggi non scritte ma universali al punto tale dal non esser mai contrariate dagli eventi o poste in discusse dagli uomini, quasi esse fossero imposizione divina sulle loro esistenze, un rituale da non poter ignorare o negare. Tali stadi, rintracciabili nel corso di qualsiasi conflitto, derivavano da qualcosa di superiore persino agli dei, da vincoli più forti di qualsivoglia legge mortale o immortale: esse, in realtà, erano frutto dell’umana natura, di quella imprevedibile eppur terribilmente banale mentalità che da sempre conduceva le persone lungo sentieri già noti, a ripetere azioni già compiute ed errori già commessi, in maniera ciclica, praticamente inevitabile.
La prima di tali fasi avrebbe previsto la pianificazione della strategia, in una reciproca analisi meramente tattica da parte delle fazioni contendenti: laddove, infatti, due o più avversari si fossero ritrovati a decidere in favore di uno scontro armato, di una guerra, difficilmente si sarebbero preventivamente concessi una qualche possibilità di conoscere le controparti, di comprenderne le possibilità offensive e difensive. Se, infatti, una tale consapevolezza fosse stata in loro possesso, per quanto sarebbero potuti esser spinti da quell’irrazionalità che sola avrebbe potuto portarli ad una battaglia, sarebbe risultata improbabile l’effettiva esplosione del conflitto: difficilmente un esercito, pur animato da desideri di conquista o di morte, pur drogato dalla propria stessa adrenalina e da altre sostanze meno spontanee per l’umano organismo, avrebbe rinnegato il naturale istinto di sopravvivenza in favore di in una missione suicida, nella certezza della propria morte, del proprio sacrificio e della conseguente vittoria dei propri avversari. Per tale ragione, per l’ignoranza più completa nei confronti dell’avversario, nel migliore dei casi fino a pochi minuti prima dell’apertura delle ostilità più in generale fino alla propria sconfitta e morte, sarebbe apparso inevitabile uno studio reciproco, un preludio alla battaglia vera e propria, nel corso del quale ognuno avrebbe cercato di ricavare le maggiori informazioni possibili su coloro che stava identificando come nemici e che, nel migliore dei casi, non avrebbe avuto alcuna ragione di odiare.
Dopo la pianificazione di generalmente troppe strategie, la maggior parte delle quali inutili perché fondate su falsi presupposti ed analisi errate, sarebbe inevitabilmente giunta la seconda fase della battaglia, che avrebbe condotto una parte dei due schieramenti ad uno scontro diretto, al fine di attuare qualcuna delle tattiche elaborate o, più banalmente, nel tentativo di constatare la reale forza del proprio avversario, cercando di trarre conferme riguardo a quanto precedentemente ipotizzato. In quel secondo momento, pertanto, la violenza sarebbe risultata certamente elevata e distruttiva, invero restando ancora controllata da entrambe le parti: quasi come in un corteggiamento amoroso, le fazioni si sarebbero reciprocamente stuzzicate, cercando di mostrare il meglio di sé, di celare i propri punti di debolezza e, soprattutto, di individuare quelli dell’altra ala, senza ancora rischiare il risultato dell’intera contesa in conseguenza di un eccessiva irruenza, sprecando ogni propria risorsa senza alcuna necessità in tal senso. E così molti uomini e donne si sarebbero gettati in un destino oscuro, armati solo della propria forza e delle ipotesi compiute dai propri condottieri, levando le armi contro volti non diversi dai loro, sui quali generalmente le stesse espressioni si sarebbero ritrovate dipinte in un misto fra stupore ed imbarazzo, in un’incertezza sulla reale necessità di un simile ed imminente massacro: tali sentimenti scomposti, però, sarebbero venuti meno quando il primo guerriero, più debole in quello psicologico confronto, non fosse più riuscito a sostenere l’attesa gettandosi in offesa degli avversari. Solo in quel momento la vera battaglia avrebbe trovato il proprio natale, la propria origine.
Dal primo ed inevitabile scontro, che avrebbe visto una o più delle squadre coinvolte completamente sterminata dagli avversari, risultati più forti, più organizzati, più reattivi rispetto agli sconfitti, sarebbe derivata la terza e conclusiva fase della battaglia, nel corso della quale tutte le risorse umane dei contendenti si sarebbero incontrate, ponendo sul campo le proprie vite, i propri ideali, i propri destini senza più alcuna regola, senza più alcun controllo, senza più alcuna inibizione. Da un lato, coloro risultati precedentemente vittoriosi, si sarebbero presentati come ebbri per quel primo risultato, nella infondata convinzione che ormai l’esito di quella battaglia fosse già stato scritto e che tutti loro sarebbero presto tornati a casa, dalle proprie famiglie, accolti come eroi benvoluti dagli dei: dal lato opposto, nel timore dell’ineluttabilità del fato, di una morte già in attesa delle loro vite, tutti gli altri non avrebbero risparmiato alcun colpo, alcuna offesa, per la propria salvezza, per quella speranza apparentemente tanto fioca di un domani. Superficiale e tendenzialmente sciocca, comunque, sarebbe stata da parte di entrambi una simile analisi, laddove la conclusione di quella battaglia, di quello scontro non avrebbe visto la propria definizione fino alla morte dell’ultimo uomo di uno degli schieramenti, fino a quando anche solo una delle vite all’interno dell’esercito avversario fosse rimasta ancora tale. Anche un singolo uomo o una singola donna, sopravvissuti a tutto l’orrore della violenza di una carneficina quale ogni confitto era, avrebbero potuto cambiare la sorte del medesimo, per quanto raro ciò, ovviamente, fosse ed avvenisse.
Tre erano, così, le fasi che scandivano la maggior parte delle battaglie, i conflitti in cui due o più eserciti, regolari o no che essi fossero, si sarebbero contrapposti l’uno all’altro su un qualsiasi suolo, con reciproche e dichiarate intenzioni belliche. Simili momenti sarebbero necessariamente venuti a mancare laddove lo scontro non fosse stato raggiunto in tali modalità, soprattutto nei casi in cui, come in quella notte, la violenza del conflitto fosse stata imposta in modo coercitivo sopra una delle due parti altrimenti priva di qualsiasi intenzione nel giungere alle armi: non a caso, nel proprio esordio, la battaglia fra la Confraternita del Tramonto ed i nomadi non era stata tale, quanto in effetti una strage, una mattanza indiscriminata di vite umane. Solo nell’incitamento e nella rottura a quel terribile succedersi di eventi offerto dall’irruenza della Figlia di Marr’Mahew, agli abitanti dell’accampamento era stata concessa la possibilità di riprendersi, di scuotersi dalla condanna a morte calata sopra di loro per offrire guerra ai propri nemici, predisponendosi armati e pronti allo scontro, animati da uno spirito comune estremamente diverso da quello di un qualsiasi soldato o di un qualsiasi mercenario per quanto tali fossero stati in passato: in loro non era la cieca ubbidienza ad ordini ricevuti in virtù di una vana fedeltà al proprio regno ed al proprio sovrano o nello sprone di una ricompensa precedentemente promessa a pagamento delle fatiche e dei rischi, quanto piuttosto il cieco desiderio di vendetta, la furia incontrollabile ed incontenibile nei confronti di coloro che si erano macchiati di un attacco tanto vile quale solo poteva essere quello compiuto, ai danni di vittime inconsapevoli, di famiglie innocenti, esuli volontari dal mondo nella ricerca di una pace evidentemente loro non concessa dal fato.

« Thyres! » imprecò la donna guerriero, ergendosi in quella massa di carne, acciaio e sangue, sotto la quale in rosse tonalità la neve si stava iniziando a sciogliere.

Poche settimane prima, Midda aveva assistito impotente all’omicidio di un'altra persona a lei cara, di un altro antico compagno a cui, per sempre, sarebbe rimasta legata per quanto fra loro non sarebbe mai potuto essere un nuovo futuro in un ritorno al passato: l’insensata uccisione di Ma’Vret, pertanto, si poneva in quel momento, in quella notte, davanti ai di lei occhi impossibile da gestire, tanto a livello razionale quanto a libello emotivo. La medesima Confraternita con la quale in un recente passato era riuscita a contenere parzialmente uno scontro, giungendo ad una soluzione diplomatica, aveva ora osato troppo e per quanto lei stessa fosse una mercenaria, per quanto potesse comprendere che nessuno fra quegli uomini e donne stava lottando per una qualche ragione diversa dal proprio compenso, non riusciva ad ipotizzare di concedere loro pietà o perdono. Nel muovere la propria lama, la donna guerriero non si proponeva di disarmare gli avversari, di porli in condizione di non nuocerle, per quanto nella propria bravura ella avrebbe potuto compiere tutto ciò senza sprecare una vita più del necessario: con la propria spada, ella cercava unicamente la morte dei propri nemici, desiderando condurli all’incontro con le rispettive divinità, ammesso che in essi una qualsivoglia fede fosse presente.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Beh, non vedo perchè avrebbe dovuto farsi degli scrupoli.

Sa bene che un mercenario accetta il rischio assieme al compenso, è lei stessa una mercenaria.

Sean MacMalcom ha detto...

Infatti non se ne è fatti! :D