11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 1 settembre 2008

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L
a comune storia di Howe e Be’Wahr aveva avuto origine con la loro stessa nascita, come i loro rispettivi nomi testimoniavano da sempre e per imperitura memoria: laddove Howe presentava fisicamente un chiaro aspetto shar’tiagho, richiamando l’etnia di quelle terre in ogni propria caratteristica fisica, il suo nome si proponeva assolutamente fuori luogo, rimandando altresì al sud, a Kofreya o, forse, a Tranith; al contrario Be’Wahr, il cui appellativo risultava essere tipico del regno di Shar’Tiagh, riportando nelle proprie sillabe alle calde e fertili terre sul limite dei regni centrali desertici, si concedeva con una capigliatura dorata più chiara del grano nei campi, con una pelle pallida assolutamente estranea a simili concetti, a tali territori. Quell’insolito scambio di nomi, in effetti, non si proponeva come casuale in una realtà dove il fato poco interveniva nelle questioni umane e dove raramente una coincidenza avrebbe potuto essere presa in esame come tale: invero i nomi dei due non erano stati decisi dai rispettivi genitori o, meglio, i rispettivi genitori avevano deciso di delegare agli altri genitori la scelta del nome per il proprio figlio, in virtù di un legame d’amicizia assoluto fra le loro famiglie, di una fiducia e di un rispetto quasi unico in quella realtà, nell’esistenza quotidiana di quel mondo. In tal modo due bambini, coetanei fra loro, divisi solo da pochi giorni, poche settimane nell’anniversario delle rispettive nascite, erano stati legati fin da un’epoca antecedente al loro primo respiro da quell’inversione di nomi, caratteristica bizzarra destinata a vederli poi uniti anche nella propria vita, nel proprio futuro, come e forse più di due fratelli, condividendo ogni esperienza fino al giorno in cui si erano ritrovati, nella professione di mercenari, rinchiusi in uno stretto ripostiglio, a discutere in merito a quattro famelici cani pronti ad azzannarli al minimo movimento di evasione, al primo tentativo di fuga.
Howe, figlio di genitori shar’tiaghi, offriva già nel proprio viso tutte le caratteristiche fisiche tipiche della zona di provenienza dei suoi genitori, terre da lui mai viste per le quali alcuna memoria, o interesse, conservava: pelle scura, ma non in toni eccessivi, si poneva praticamente glabra con zigomi alti, nella forma tirata delle guance; due scintillanti occhi verdi risultavano spartiti da un naso lungo e stretto; labbra sottili sovrastavano un mento appuntito, sospinto appena in avanti nel proprio acume; ed una massa di capelli neri si proponeva poi disordinata attorno a quel volto ovale, conformata in un’infinità di piccole trecce. Il suo corpo, sotto a tale capo, ci concedeva alto e magro, certamente atletico nella propria muscolatura, ben lontano dall’essere simile, in una naturale proposta o nello sviluppo conseguente all’esperienza, a quello di un colosso d’ebano, come al contrario risultavano essere la maggior parte degli abitanti dei regni del deserto con cui Shar’Tiagh confinava pur non facendone parte. Vestito con una casacca blu pastello priva di maniche e con pantaloni di simile colore, egli non indossava scarpe come i suoi genitori lo avevano abituato da sempre a fare, nel rispetto delle usanze della propria gente, ornando per la medesima ragione il proprio corpo con gioielli dorati: due erano i larghi bracciali posti attorno al suo arto mancino, uno sotto la spalla ed uno all’altezza del polso, mentre uno era l’orecchino posto al suo orecchio destro, formato in effetti da due diversi anelli, il primo fissato al lobo ed il secondo posto nella curva superiore, legati fra loro da una catenella di egual materiale. Dorata, infine, ma solo in apparenza, si concedeva anche la lama che avrebbe voluto essere nelle sue mani, una sciabola dalla forma irregolare che certamente non doveva derivare dalla sua etnia ma da qualche avventura vissuta in quegli anni, come sempre del resto avveniva per i mercenari e le proprie armi.
Be’Wahr, progenie di sangue misto ma ben lontano dall’essere prossimo al deserto, si presentava subito con una folta e corta chioma bionda, estremamente chiara, posta ad ornamento di un viso squadrato dalla pelle chiara: piatto era il suo naso, corto nelle proprie proporzioni; azzurri con sfumature tendenti al blu e dotati di un’intrinseca profondità erano i suoi occhi; ampia la sua bocca con labbra sottili a delimitarla; largo il suo mento, ornato nella parte centrale da una fossetta ed appena cosparso da un’incolta leggera barba, praticamente invisibile allo sguardo nel proprio pallido colore. Il suo corpo, in statura più bassa rispetto al compagno, si proponeva più robusto e muscoloso, fasciato in tutto il torso e le braccia da strette e sporche bende un tempo probabilmente bianche: tale presenza non derivava, per sua fortuna, da una qualche tremenda ferita che ne aveva rovinato il corpo, ma dal semplice desiderio di evitare di attirare l’interesse di sguardi esterni verso i numerosi tatuaggi che lo ornavano. A seguito delle sue prime missioni, delle avventure invero più innocenti che egli avesse vissuto, per sua iniziativa aveva coperto il proprio intero busto di complesse decorazioni, salvo poi rivedere le posizioni assunte in tal senso e decidere, al fine di mantenere l’anonimato come mercenario, di coprirle non potendo avere altro modo per liberarsene. Nella professione scelta da lui e da Howe, del resto, due erano le politiche normalmente scelte nei confronti della diffusione del proprio nome, della propria fama: da un lato era la ricerca di un’identificazione sempre chiara ed immediata dell’individuo, di un riconoscimento immediato in ogni situazione anche sfruttando qualche caratteristica fisica priva di eguali, come risultava essere ad esempio nel caso di Midda, per il di lei braccio e per la sua cicatrice sul viso; dall’altro lato, al contrario, era il desiderio di anonimato assoluto, l’impegno a mantenere il più basso profilo possibile per poter agire in maniera discreta, mantenendo sempre la propria presenza in un luogo priva di pubblicità, di notorietà. Sopra all’integrale bendaggio così proposto, egli era rivestito, più a livello ornamentale ornamento che per qualche reale utilità, con una leggera casacca verde aperta sul fronte e priva di maniche: della medesima tonalità si concedevano i suoi pantaloni, in forme voluminose poi strette alle sue gambe all’altezza delle ginocchia ed alle caviglie, attorno alle quali si chiudevano a lasciare il posto a leggeri calzari neri, utili a proteggere i suoi piedi. Una borsa, posta a tracolla, pendeva poi sul suo fronte destro mentre a mancina era la spada, dalla lama larga e dal filo singolo, simile più ad un grosso coltello che ad un’arma tradizionale, per quanto da lui venisse adoperata ormai da anni con pieno successo.

« Dannazione! » esclamò Be’Wahr, scuotendo il capo con forza di fronte all’inevitabilità di quel caso « Sicuro che non vi siano altre scelte? Dobbiamo per forza ucciderli? »
« Se vuoi, tu puoi anche iniziare a correre molto velocemente, cercando di attirarli fuori di qui mentre io recupero il manufatto e la mappa… » propose Howe, aggrottando la fronte « In fondo li consideri tuoi grandi amici, no? »
« Ma non hanno fatto nulla di male. » si oppose, con evidente tristezza nella voce.
« A te, magari! » replicò il compagno, iniziando a dare segni di stanchezza per quella situazione « Se non fosse perché mi blocchi il passaggio sarei già uscito a farla pagare a quei figli d’una cagna… ma evidentemente gli dei hanno deciso che questa volta devi essere tu ad avere possibilità di scelta… »
« Gran bella scelta… »
« Ti ricordo che non abbiamo una settimana di tempo! » incitò il shar’tiagho « Per quanto le donne si potranno impegnare a tenere il padrone di casa lontano da qui, prima o poi lord Visga farà ritorno e per noi sarebbe meglio non essere presenti a meno di non voler dichiarare guerra all’intera nazione gorthese. »
« E va bene… per Lohr! » esclamò il biondo, spingendo la porta all’indietro e lasciando la posizione protetta conquistata in quel ripostiglio.
Un istante dopo, il problema offerto dai cani da guardia era stato risolto con evidente soddisfazione da parte di Howe che non mancò di commentare: « E ci voleva tanto?! »

Al fine di evitare altre spiacevoli sorprese, anch’egli estrasse la propria lama dorata dal fodero in cui era riposta, osservando i resti dei quattro avversari abbattuti dal compagno e preparandosi al proseguo nell’esplorazione di quella casa. Fino a quella sera solo Carsa aveva avuto accesso alla dimora di lord Visga, in conseguenza di ragioni abbastanza evidenti nel proprio ruolo di infiltrata, e le informazioni da lei concesse in merito alla planimetria dell’edificio si erano proposte estremamente accurate fino a quel momento, tralasciando unicamente il particolare dei quattro mastini, tutt’altro che irrilevante: probabilmente , però, non era da escludere l’eventualità che la donna avesse volutamente scordato di specificare loro quel dettaglio, per divertirsi alle loro spalle, in una sorta di rivincita per la pigrizia riservata altrimenti al loro ruolo. Del resto, nella situazione in cui si erano ritrovati, nel piano elaborato in comune fra tutti e quattro, le due donne avevano potuto evitare di riservarsi i ruoli principali, una in virtù della propria fama e l’altra in conseguenza della propria bellezza, lasciando ai due compagni il lavoro meno impegnativo, nell’appropriarsi dell’elemento indispensabile al proseguo della loro missione, in possesso della famiglia Veling da diverse generazioni.

« Voglio che sia chiaro che non era mia intenzione ucciderli… mi ci hai costretto! »
« Considerala da questo punto di vista: o tu uccidevi questi cani, o sarebbe poi stata Midda ad ucciderti, nello scoprire che la sua fatica nell’Arena sarebbe stata inutile! » sorrise divertito l’uomo verso il fratello « Ed ora muoviamoci… facciamo quello per cui siamo venuti ed andiamocene via rapidamente. »

3 commenti:

Tanabrus ha detto...

Sempre più simpatici i Ringo Boys ;)

Anonimo ha detto...

Ed io che pensavo a Blues Brothers... :P

Però, un dubbio, ma possibile che in qual mondo siano tutti mono colori nel vestirsi? Cioè, ok, non proprio tutti, ma è un pò un abitudine che alto e basso siano dello stesso colore...

Sean MacMalcom ha detto...

@Coubert/Tanabrus: grazie! :D

@Palakin: ammetto che inizialmente avevo intenzione di fare una coppia alla Bud&Terence, ma poi ho cambiato idea votando a favore di caratterizzazioni ex-novo. :D
Per i vestiti... boh... sarà la moda del posto! :D