11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 19 aprile 2009

464


F
edele al ruolo scelto, Midda si lasciò condurre dai propri carcerieri senza offrire la benché minima opposizione, decisa ad approfittare solo in seguito dell'opportunità che si fosse dimostrata più propizia per la propria fuga. Cercare di evadere al loro controllo in simile, particolare, frangente non avrebbe fatto altro che confermare ogni sospetto, ogni dubbio, ogni accusa, portando probabilmente a porre in essere immediate contromisure anche nei confronti della propria rapita, al punto da impedirle ogni possibilità di giungere a lei, completando la propria missione. Al contrario, restando apparentemente docile sotto il loro controllo, avrebbe offerto a quegli sciocchi l'illusione di averla piegata, di averla dominata, invogliandoli a diminuire la propria attenzione e ritagliandosi, in conseguenza, l'occasione di agire con minimo ogni rischio. Concedendo il proprio miglior viso ad un pessimo gioco, pertanto, ella si ritrovò a subire una lunga serie di improperi proposti a suo discapito, ed a discapito della sua "padrona", da parte dell'intendente.
L'eunuco, effettivamente a ragion veduta, era consapevole di come, a seguito delle avventate decisioni di quella notte, qualsiasi fosse stato il risultato finale egli avrebbe perduto qualcosa, forse solo il proprio posto di lavoro se non, peggio, la propria stessa vita: per questo non ebbe inibizioni a lasciarsi andare, psicologicamente e verbalmente, approfittando di essere alla presenza dell'unica persona che, stupidamente, riteneva non potesse concedergli danno. Una reazione assurda quella da lui proposta, dal punto di vista della donna, dove avendo egli fiducia nelle proprie stesse accuse, avrebbe dovuto guardarsi bene dall'infierire nei riguardi di una pericolosa mercenaria: una reazione logica, al contrario, dal punto di vista di un uomo, o nato come tale, abituato, in Y'Shalf così come nella preponderante maggioranza delle società, a non prendere neppure in vaga considerazione la possibilità che una donna potesse effettivamente nuocergli a livello fisico, nonostante l'evidenza di ciò a cui, anch'egli come chiunque altro nell'harem, aveva avuto modo di assistere durante lo scontro fra lei e la jinn vampira.

« Strano che tu non sia curiosa di conoscere l'identità della mia fonte, colei che ha tradito il segreto che hai cercato tanto accuratamente di celare a tutti noi. » commentò l'intendente, quando ormai il gruppo era giunto in prossimità della stanzetta, poco più di un ripostiglio, all'interno della quale la prigioniera sarebbe stata rinchiusa in attesa di giudizio.
Come già aveva compiuto fino a quel momento, in risposta ad ogni provocazione, la Figlia di Marr'Mahew mantenne ancora l'assoluto silenzio, per evitare che una qualsiasi sua affermazione potesse generare interpretazioni da lei incontrollabili ed imprevedibili.
« Continui ad ignorarmi? » domandò retoricamente, sarcasticamente, scuotendo il capo nell'osservarla « Pensi davvero di riuscire a cavartela, cagna mercenaria? Quale folle divinità kofreyota anima il tuo cuore nel concederti tanta sicurezza? »
Per quanto ella avrebbe voluto, senza mentire in effetti, negare di essere kofreyota, restò nuovamente quieta innanzi al proprio interlocutore, ammesso che con simile termine sarebbe potuto essere definito data l'assenza di un reale dialogo fra loro.
« Il nome Fath'Ma ti suggerisce qualcosa? » incalzò l'intendente, in cerca di qualunque reazione da parte della donna, qualsiasi minimo segnale della correttezza delle proprie affermazioni, tale da garantirgli possibilità d'azione contro di lei nel rispetto del regolamento.

Difficile fu per la donna guerriero restare fredda, insensibile, innanzi al nome concessogli in quell'ultima offensiva. Ella riuscì, comunque, a non offrire esternamente alcuna reazione innanzi ad esso, lottando dentro di sé per convincersi come l'uso improprio di quel nome fosse in realtà solo un trucco orchestrato per coglierla di sorpresa, per spiazzarla e costringerla a tradirsi: non vi erano, in fondo, ragioni per sospettare della serva che fin dal primo giorno le si era dimostrata compagna fedele, complice innocente, la quale in alcun modo avrebbe potuto identificarla, scoprirne le intenzioni e comunicarle all'intendente, dal momento in cui la sola con cui avesse avuto un qualche confronto era stata Nass'Hya, nell'intimità delle loro stanze.

Purtroppo, però, l'eunuco si dimostrò deciso a non demordere, certo delle proprie affermazioni: « E' incredibile, quasi ammirevole, la tenacia che offri nel restare coerente con la tua recitazione. » commentò, levando una mano verso le guardie, richiedendo loro di arrestarsi « Ed è un peccato che simile talento sia del tutto inutile, in questo momento: Fath'Ma, serva fedele di quest'harem e di questo regno, ha ascoltato segretamente le rivelazioni che tu e la tua complice vi siete scambiate, i vostri piani per fuggire da questo luogo, da questa terra, al fine di permettere un'assurda ed inaccettabile unione. Il vostro progetto è fallito, mercenaria… e tu sarai presto condannata a morte per quanto hai osato supporre di poter compiere! »
Le pupille della mercenaria si contrassero di colpo all'interno delle iridi color ghiaccio, trasformando i suoi occhi in enormi e gelidi specchi, in una reazione spontanea, quasi inconscia, al pericolo che ora avvertiva chiaramente attorno a sé, concedendole la sicurezza che mai sarebbe giunta fino alla cella promessa.
« Strappatele quel dannato abito di dosso! » comandò, inaspettatamente, improvvisamente, con rabbia, con furore quasi isterico.

Quell'ordine giungeva in violazione ad ogni regola, in contrasto ad ogni dogma presente nella minoranza integralista della religione da Y'Shalf solo ereditata, secondo i quali mai si sarebbe dovuto essere osato tanto nei confronti di una fedele di tale confessione. E dove la vita all'interno dell'harem si poneva strettamente scandita da tali principi, anche le guardie eunuchi, sebbene vincolate dal proprio ruolo subordinato all'intendente, ebbero un evidente incertezza innanzi a quella richiesta.

« Non osate… » impose la donna, con voce che solo falsamente voleva tendere ad una supplica, dimostrando al contrario un animo tutt'altro che sottomesso, lontano dall'essere vittima delle circostanze « Gli dei vi puniranno per la vostra blasfemia! »
« Avanti, stupidi che non siete altro! » ringhiò egli, ormai uscito di senno, probabilmente in conseguenza della tensione accumulata, del timore per il destino incombente anche contro di sé oltre che contro le prigioniere « Voglio vedere il suo viso! E' solo una cagna straniera… nemica del nostro sultano! Ubbidite!»

Divise su come poter agire, le guardie mantennero la linea politica scelta fino a quel momento, nel lasciare che ogni responsabilità potesse ricadere unicamente sull'intendente e loro non potessero venir accusati di aver mancato all'assolvimento dei propri doveri, dei propri compiti. Così, nonostante il gesto richiesto si proponesse inqualificabilmente estremo, alcuni fra loro abbassarono le proprie armi solo per poter afferrare con le proprie mani la stoffa del burqa, all'altezza delle spalle, delle braccia, dei fianchi della donna, tirandolo con violenza nell'esigerlo a sé, nell'ubbidire all'ordine ricevuto.

« Non osate! » si lamentò nuovamente la mercenaria, tentando di divincolarsi pur non attaccando esplicitamente alcuno fra i propri aguzzini, per quanto avrebbe potuto farlo pur ancora celata sotto quell'abito, senza alcuna fatica « La mia signora vi punirà per questo… la sua ira non conoscerà eguali… »
« Non prestatele ascolto! » li incitò l'intendente, pur restando a doverosa distanza dalla scena, quasi temesse di poter essere coinvolto nella medesima peggiorando la propria già fragile posizione.
« No… no… morirete per questo… morirete! » gridò la mercenaria, reagendo come le sarebbe stato richiesto di reagire se fosse realmente stata una serva, pur mantenendo freddezza assoluta, controllo totale sul proprio corpo e sulle proprie emozioni, pronta all'azione non appena questa le sarebbe stata imposta.

E, sotto l'insistenza di quel gesti, della forza di quelle mani, la stoffa cedette, lacerandosi longitudinalmente, sul fronte anteriore. Dischiudendosi simile al bozzolo di una splendida farfalla, dal travestimento rovinato emersero le sue forme, le sue fattezze si rivelarono finalmente chiare ed inconfondibili agli occhi di tutti, negli abiti verdi e nella spada forgiata nella lega cara agli dei del mare, del quale conservava in sé il colore e la forza.

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