11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 21 novembre 2009

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« … a
nzi no. » si corresse egli, immediatamente, senza attendere alcuna reazione da parte della mercenaria prima di proseguire nella direzione offerta alle proprie parole « Credo che, in verità, una parte di me si sia sempre posta certa del fatto che, prima o poi, il nostro cammino sarebbe tornato a incrociarsi. »

Non desiderando poter donare possibilità di dubbio nel merito delle reali ragioni alla base della propria presenza all’interno della città, soprattutto innanzi agli occhi di un sì potenzialmente pericoloso avversario qual probabilmente egli si sarebbe posto verso di lei, ella dissimulò immediatamente lo stupore inizialmente derivato dall’ascolto di tale voce, di simile intervento. Solo un volto assolutamente sereno, se non addirittura sostanzialmente freddo e quasi inespressivo, fu quello che ella offrì voltandosi lentamente verso di lui e abbassando il proprio cappuccio, un viso carico di energia, di forza, di fascino, forse, ancor prima che di bellezza, nell’essere caratterizzato da due gelidi occhi azzurri, da una spruzzata di efelidi accentrate attorno al naso su una pelle estremamente chiara, nonché da una lunga e spiacevole cicatrice in corrispondenza dell’occhio mancino, uno sfregio imperdonabile per sempre impresso in tal ritratto.

« Maggiore Onej’A… » asserì ella, con voce assolutamente priva di ogni possibilità di sentimento, positivo o negativo, priva di entusiasmo o di ritrosia, di gioia o di mestizia, nel sovrastare con la propria pur non eccessiva altezza, la figura altresì estremamente compatta della controparte, ove questi, con il proprio sguardo, era in grado di raggiungere a malapena l’altezza dei suoi ricchi seni.
« Quando mi hanno offerto conferma nel merito della tua fuga dal carcere nella Terra di Nessuno, non ho avuto dubbi sulla certezza di questo incontro, considerandolo solo questione di tempo. » commentò l’uomo, osando concedersi una sorta di sorriso, nel mostrare, sotto a folti baffi rossi, una lunga fila di denti gialli.
« Spero comprenderai quanto si ponga difficile, per me, accogliere con allegria l’occasione riservataci da questa fuggevole occasione. » dichiarò la Figlia di Marr’Mahew, lasciando appena piegare gli angoli delle proprie carnose labbra verso il basso, in senso di evidente disapprovazione « Non propriamente felici sono, del resto, i ricordi che ci legano, il passato che ci accomuna. »

Figura di spicco fra le guardie cittadine della capitale, nonché ex-ufficiale dell’esercito kofreyota, come i propri abiti e il proprio grado non mancavano perennemente di ricordare, qualche tempo prima Andear Onej’A, tale era il nome completo di quell’uomo caratterizzato da un’altezza tanto ridotta al punto tale da evocare, nella mente di qualsiasi suo interlocutore, l’idea di un nano proprio delle leggende del nordico continente di Myrgan, era stato posto a capo di un vasto contingente armato con il solo incarico di scortare Midda Bontor in un lungo cammino, da Kirsnya a un carcere segreto eretto all’interno di un vulcano nella Terra di Nessuno, luogo di non ritorno entro il quale ella sarebbe dovuta essere rinchiusa per il resto della propria vita in espiazione dei crimini passati, delle condanne accumulate un decennio prima.
In quel percorso, in quel viaggio, per quanto probabilmente avrebbe dovuto esser considerato meno tragico rispetto a ciò che sarebbe potuto divenire in assenza della pur carismatica figura di simile condottiero, utile a tenere a bada i temperamenti violenti dei propri subordinati e, in questo, a riservare loro una possibilità di sopravvivenza nell’evitare lo scontro diretto con quella sì pericolosa prigioniera, all’allora condannata non era stato effettivamente riservato un trattamento particolarmente premuroso, soprattutto in conseguenza dell’imposizione di numerose e pesanti catene preposte, ipoteticamente, al suo stesso controllo, a prevenire ogni possibilità di evasione, di fuga. Paradossale sarebbe dovuto essere considerato come la cattura della mercenaria, in tale contesto, era potuta avvenire solo in conseguenza, in virtù, di un suo esplicito desiderio in tal senso, in simile direzione, ragione per la quale, pur senza offrire dichiarazioni dirette a quel riguardo, ella non aveva offerto la pur minima resistenza in opposizione ai propri avversari, arrendendosi a loro e, in questo, rendendo vana l’esigenza di quegli stessi gravosi vincoli, i quali, in caso contrario, difficilmente avrebbero comunque potuto sopraffarla, dominarla, al di là di ogni possibile precauzione, di ogni prudenza da parte delle proprie sentinelle. Nonostante tutto, nel non dimenticare la propria volontaria partecipazione a simile tortura, la donna guerriero non avrebbe potuto mancare di ricordare di non essere uscita completamente indenne da simile prova, vedendo le proprie curve, le proprie carni, segnate da innumerevoli piaghe in conseguenza della violenza propostale da tanto metallo, ferite che il tempo era stato fortunatamente in grado di lenire, ma in conseguenza delle quali ella non si sarebbe potuta permettere di associare pensieri positivi a simile esperienza e ai protagonisti della stessa, primo fra tutti proprio il maggiore in questione, ora offerto nuovamente e inaspettatamente innanzi al suo sguardo.

« Parole insolite le tue. » osservò Onej’A, piegando appena il capo di lato, per quanto costretto a mantenere il proprio sguardo verso l’alto nel ricercare quello dell’interlocutrice « Qual professionista, dovresti apprezzare meglio di chiunque altro il valore di un incarico, comprendendo come, all’epoca, non vi sia stato nulla di personale da parte mia nei tuoi confronti. »
« Qual professionista, sicuramente apprezzo e comprendo. » confermò ella, non mutando la propria espressione, non offrendo ancor alcun sentimento alla propria voce « Ma qual essere umano e donna, sinceramente trovo difficile offrire perdono. »
« Non che io stia cercando assoluzione da parte tua, pirata. » sorrise l’uomo, ancora facendo sfoggio dei propri denti giallastri sotto ai folti baffi rossicci « La tua mecenate, lady Lavero, può aver forse cambiato idea a tuo riguardo e aver agito per permettere di riconoscerti libertà da ogni accusa pendente a tuo carico, liberandoti in questo dal giogo imposto a tuo discapito dalla giustizia di questa città. Ma qualsiasi condono, qualsiasi amnistia, non potrà mai cancellare i crimini che ti hanno marchiata in passato. »
« Se speri tediarmi con la futilità delle tue accuse, permettimi di rassicurarti: ci sei già riuscito. » scosse il capo la donna guerriero « Già una volta ho provato a spiegare la falsità di tali accuse e… »
« … e già una volta ho esplicitato quanto ciò non possa avere valore al mio sguardo, alla mia attenzione. » ricordò egli, nel mentre in cui, nel mezzo del suo viso scuro, abbronzato e segnato da profonde rughe al punto tale da apparire simile a una maschera di cuoio, gli occhi si socchiudevano al punto tale da scomparire nel complesso quadro d’insieme così proposto.

Per un lungo istante la Figlia di Marr’Mahew evitò di prendere parola, di proporre nuovamente la propria voce, nel costringersi a ricordare le regole che avrebbe dovuto rispettare, il patto sociale a cui non sarebbe potuta venir meno, se solo avesse realmente avuto desidero di poter agire per la salvezza di Carsa, per la liberazione di quella giovane donna altrimenti già condannata a morte certa. Se così non fosse stato, se non avesse avuto tale impegno ad attenderla, a renderle necessario mantenere un basso profilo, probabilmente avrebbe già reagito in maniera adeguata alla chiara provocazione offertale, sicura trappola psicologica in suo contrasto ma, di fronte alla quale, si sarebbe comunque sentita in dovere di non sottrarsi, in una questione di rispetto, di principio, d’onore personale. Non immediato fu, per lei, imporsi simile freno, riuscendo in tal senso unicamente grazie alla propria esperienza, alla propria acquisita abilità nel controllo delle emozioni, degli istinti, naturali o indotti. Una qualità, del resto, indispensabile nel desiderio di sopravvivere al proprio lavoro, a quella sua particolare qualifica, ove mai avrebbe potuto sperare di giungere alla fama, alla gloria conseguente alle imprese da lei stessa compiute, lasciandosi guidare dall’impulso di un momento, da una cruda pulsione, tale da nullificare ogni raziocinio e, in ciò, anche ogni controllo sull’ambiente a sé circostante, sugli ostacoli lì presenti e, soprattutto, sui propri avversari.
A rendere esplicito, evidente, il suo sforzo volto al dominio dei sensi, furono i suoi stessi occhi, all’interno dei quali le nere pupille si contrassero con forza, con decisione, fino quasi a scomparire nell’immensità rappresentata da quelle iridi color ghiaccio…

« Cosa cerchi da me, Onej’A? » gli domandò in maniera diretta, negandosi ora ogni inutile temporeggiamento, ove assolutamente chiara, trasparente, sarebbe dovuta esser giudicata la presenza di un deciso scopo, di una definita ragione dietro quell’incontro giudicabile qual solo apparentemente casuale.

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