11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 14 marzo 2010

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N
on aver paura dell'oscurità,
dolce il mio piccolo bambino:
il mattino è oramai vicino,
e così la fine d'ogni falsità.
E anche il colore argentino,
al mondo sì donato dalla luna,
che al Male offre vasta fortuna,
presto giungerà al proprio declino:
non graziando malvagità alcuna,
illuminando con vero bagliore
e consolando con dolce calore,
il sole sorgerà da quella duna.

Non aver timore, neppur terrore,
dolce il mio prezioso tesoro:
l'aurora salverà tutti coloro
che cercheranno il suo splendore.
E anche innanzi al sicomoro,
che della Morte è ferma memoria
sino dagli arbori della Storia,
tu donerai riso allor sonoro:
perché solamente con gran baldoria,
anche la più cupa, triste gravità,
potrà quindi mutar in giovialità,
sconfiggendo del Maligno la boria.

Non aver paura dell'oscurità,
dolce il mio piccolo bambino:
il mattino è oramai vicino,
e così la fine d'ogni falsità...

Rime perfettamente intrecciate fra loro, furono quelle che, alfine, giunsero all'attenzione della Figlia di Marr'Mahew, in una cantilena evidentemente studiata al fine di poter essere continua, perpetua, ininterrotta quale solo sarebbe potuta apparire un composizione rivolta ai più piccoli per imporre loro, con dolcezza, un'occasione di risposo, di placido sonno, in contrasto a ogni paura, a ogni possibile timore proprio delle tenebre e della notte, da sempre, dopotutto, sinonimo di perdizione, soprattutto nel confronto con l'animo degli infanti.
Invero, se solo alla donna guerriero fosse stata concessa una maggiore confidenza con la cultura del regno di Shar'Tiagh, con le sue tradizioni e con la sua religione, il messaggio proprio di quel componimento, nella sua enfatizzata avversione all'oscurità e alla luna proposte allora quali nemiche giurate di ogni creatura vivente timorata degli dei, avrebbe dovuto essere considerato assolutamente improprio, addirittura stonato, soprattutto nel confronto pur esplicito con riferimenti indubbiamente, trasparentemente propri del realtà shar'tiagha, quale l'accenno alle dune o, ancora e maggiormente, al sicomoro, albero consacrato alla dea Ha'Tho-Er e impiegato, nei riti funebri propri del regno, per offrire sepoltura ai sovrani di quella terra e ai propri familiari. In quei confini, in quelle terre così prossime ai regni centrali del deserto, come, in effetti, in tutti gli stessi regni del deserto, differentemente rispetto al resto del continente e, forse, del mondo intero, la notte non si poneva quale rifugio ideale per creature crudeli, per oscuri negromanti bramosi di imporre la morte su ogni nazione: dove, infatti, il sole non mancava di dimostrarsi, con il proprio fiero calore, con la propria costante e, forse, feroce azione, quale il principale avversario a ogni forma di vita animale o vegetale, primo complice dell'aridità propria del deserto, proprio nella dolcezza della notte, nella quiete e nel riposo offerto dalle fresche tenebre, avrebbero dovuto essere ricercati tutti gli dei più magnanimi propri di quella tradizione, amici, alleati della vita umana entro quelle lande. Ma simili informazioni, una tale istruzione, non si poneva, in quel momento, quale propria della mercenaria, e, in questo, ella non ebbe modo, possibilità, occasione di evidenziare l'apparente incoerenza di quelle rime e dei loro significati, dando per assoldata l'esistenza di alcuni valori, principi basilari comuni a ogni possibile formazione, dove anche, comunque, quelle parole furono a lei proposte quali frutto di una cultura lontana dalla propria.
A recitare, ancor prima di cantare, simile nenia, non si impose, però, una voce matura, adulta, qual sarebbe potuta essere attesa nel contesto proprio di una ninna nanna, quanto, piuttosto, una tonalità decisamente giovane, acuta e, addirittura, infantile, quale quella che sarebbe potuta essere considerata propria di un bambino, del pargolo idealmente destinatario di quelle rime desiderose di offrire incoraggiamento, conforto. E quale immagine di frugolo, effettivamente, si concesse ai suoi occhi quella propria della fonte di quel canto, mostrandole un bambino shar'tiagho, di poco più di due piedi di altezza, accucciato sulla riva del fiume, chiuso su di sé in posizione fetale.

« Thyres… » sussurrò la donna guerriero, nel riconoscere in quel bimbo inerme la crudele entità considerata qual promotrice, attraverso il proprio canto, di una letale trappola a suo discapito.

Per quanto, nel corso delle proprie numerose e leggendarie avventure, ella fosse stata posta in contrasto a ogni genere di avversari, di nemici capaci di donarsi alla sua attenzione in qualsiasi forma, spesso scegliendone anche di incredibilmente indifese al fine di riuscire a sorprenderla, a coglierla in contropiede, e sebbene, ancora, ella fosse ormai abituata ad aprirsi la via verso la salvezza e verso la propria supremazia usualmente a colpi di spada, senza riservarsi in questo particolari freni, inibizioni di sorta, la Figlia di Marr'Mahew non aveva mai concesso al proprio cuore di inaridirsi al punto tale da lasciarla divenire assolutamente indifferente di fronte all'eventualità di una morte o, peggio ancora, da spingerla a gioire per la fine di una propria controparte nel corso di un duello, di una battaglia, possibilità da lei altresì considerata, addirittura, quale un concreto insuccesso da parte propria, una chiara mancanza di concreta superiorità quale, invece, avrebbe saputo dimostrare nel riuscire a individuare una via meno semplice, e più glorificante, per raggiungere quello stesso scopo, ove, dopotutto, quella propria dell'assassinio non avrebbe mai potuto essere giudicata quale una soluzione meritevole di onori o riconoscimenti.
In questo particolare rapporto con le proprie sfide quotidiane, nel ritrovarsi innanzi a un bambino così chiaramente spaventato, evidentemente tremante di freddo e di paura, ella non poté mancare di sentirsi in sincero imbarazzo per la presenza della propria spada bastarda nella mancina, pronta a fendere l'aria in contrasto a qualsiasi possibile avversario, a qualsiasi nemico il fato avesse, ora, voluto imporle. Dove anche, pertanto, il suo consueto sentimento di paranoia non stava, nuovamente, mancando di invocare da parte sua cautela, prudenza, dal momento in cui quel pargolo avrebbe improvvisamente potuto rivelare qualsiasi natura altresì aliena a quella umana, presentandolo in ciò quale un feroce predatore pronto a strapparle la carne dalle ossa, ella decise di sciogliere la posizione di guardia precedentemente assunta nell'avvicinarsi a quella particolare meta, lasciando calare la spada fino a porla parallela al proprio corpo e perpendicolare al suolo, per poi avanzare, con discrezione e apparente tranquillità, verso quel giovanissimo cantore, desiderosa di comprendere con chi stesse effettivamente ponendosi a confronto, e quali ragioni avrebbero mai potuto giustificare una simile presenza su quella riva, nel corso di una notte per lei già maledetta.

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