11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 11 aprile 2010

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O
vviamente l'utilizzo di un orinale non le venne riconosciuto, così come non sarebbe mai stato concesso a un qualsiasi altro detenuto posto entro quelle scomode celle. La scelta propria di quei carcerieri, invero, non sarebbe dovuta esser giudicata qual dettata da un sentimento di reale crudeltà, quanto, piuttosto, da semplice senso pratico, dal momento in cui, in dimensioni tanto ridotte, tanto ristrette, qualsiasi accessorio, per quanto utile e igienico quale quello in questione, avrebbe potuto risultare solo qual un ostacolo, un impedimento ai già negati movimento dei prigionieri. A tal riguardo, in passato, non erano mancati pietosi, e paradossali, tentativi di concedere qualche comodità in più all'interno di quei loculi, in conseguenza di scelte di gestione carceraria più comprensive verso i condannati: ciò nonostante, ogni esperimento in tal senso si era risolto, prevedibilmente, con il fallimento del medesimo, dove la presenza pur non ingombrante di un orinatoio si poneva d'intralcio a qualsiasi manovra fisica all'interno delle celle, giungendo, in ciò, all'inevitabile e spiacevole rovesciamento dello stesso vaso, e di tutto il suo contenuto, a terra e contro il corpo del detenuto, non diversamente, o forse addirittura peggio, di come sarebbe occorso in sua assenza.
Privata, in tal modo, della propria tunica e del proprio copricapo, nonché della propria consueta casacca, dei propri calzari, dei propri pantaloni e, persino, del proprio perizoma e della fascia usualmente utile a raccogliere stretti al suo corpo i suoi generosi seni, in conseguenza di un'accurata perquisizione volta a ovviare al rischio della presenza di altre eventuali armi, o utensili di sorta, da lei nascosti sulla propria persona, la donna guerriero sì ritrovò a essere, in quell'angusto spazio, rivestita semplicemente con un sacco di rozza tela e, per sua fortuna, ammesso che alla buona sorte si sarebbe potuto offrire riferimento in una tale situazione, con il bracciale dorato dedicato al dio Ah'Pho-Is, concesso, ancora e nonostante tutto, a cingere il suo braccio sinistro. Per quanto la mercenaria avesse supposto che, data la completa svestizione a cui era stata costretta, anche simile ornamento le sarebbe stato negato, in ciò condannandola a un fato probabilmente peggiore della stessa prigionia, alcuna fra le guardie preposte all'esame del suo corpo e delle sue vesti, comunque umiliante sebbene posto in essere da altre donne, dimostrò un concreto interesse nella volontà di privarla di quel bracciale, probabilmente considerando una simile spoliazione qual eccessiva per chiunque, anche per lei, per quanto la prigioniera in questione fosse chiaramente straniera e, ai loro occhi, probabilmente non confidente con il reale significato proprio di quel monile, di un artefatto altresì meritevole di attenzione nella loro cultura, nella loro religione.

« Thyres… spero che tu sia soddisfatta di questa umiliazione. » commentò nell'osservarsi attorno, sebbene a ben poca distanza avrebbe potuto spingersi il suo sguardo in tal frangente « Credi che tutto questo possa essere considerato qual espiazione sufficiente per le mie colpe? » proseguì, rivolgendosi in tali parole in maniera esplicita verso la propria dea prediletta, non qual semplice invocazione, ma qual concreta interrogazione « O devo, forse, rimpiangere di non aver ammazzato quelle guardie e cercato immediata occasione di fuga quando ne ho avuto l'occasione?! »

Alcuna risposta, come dopotutto sarebbe stato prevedibile, le fu tuttavia concessa da parte della propria dea in quel momento, in reazione a quelle sue parole effettivamente più sconsolate di quanto non avrebbero voluto dimostrare, nel celarsi dietro a uno schermo di freddo sarcasmo. E, così, per quattro lunghi giorni, la Figlia di Marr'Mahew si ritrovò costretta a adattarsi alla situazione impostale, offrendo ricorso a tutto il proprio senso pratico e impegnando, in ciò, ogni energia, fisica e psicologica, nella volontà di non lasciarsi piegare, nel corpo e nella mente, come, altresì, sarebbe stata condannata a essere in un tale ambiente e in un simile contesto, oscenamente svilente per il concetto stesso di essere umano.
Memore di numerose esperienze passate che l'avevano vista protagonista di circostanze forse anche peggiori rispetto a quella, Midda si costrinse a non concedere né all'assenza di spazio, né alla completa mancanza di igiene, e neppure alla negazione di abiti per lei consueti, di modificarne le abitudini, di influenzare quella serie di riti che, da anni, la caratterizzavano in ogni propria giornata. In ciò, nonostante ogni ostacolo, ogni difficoltà, ella non mancò di scandire le ore della propria prigionia attraverso l'alternanza di lunghe serie di attività fisiche a momenti di tranquillo riposo. Esercizi, quelli in cui si impegnò, non estranei a quelli in cui era solita impegnare il proprio fisico ogni mattina e ogni sera, nonché in ogni momento di riposo, i quali, per quanto, inevitabilmente, dovettero essere riadattati al contesto attuale, non vennero comunque meno al proprio ruolo, nel mantenere il suo corpo in allenamento e la sua mente sempre attiva, rifiutando, così, ogni ipotesi di indolenza, ogni possibilità di intorpidimento, che si sarebbero altrimenti potute dimostrare estremamente lesive al tempo in cui sarebbe stata da lei votata la necessità di evasione, di fuga da quella tutt'altro che piacevole realtà.
In effetti, in quei primi quattro giorni, numerose sarebbero potute essere conteggiate, per lei, le occasioni di ribellione al regime impostole, alla prigionia a cui era stata così condannata. Primi fra tutti, gli immancabili appuntamenti quotidiani con i pasti, regolarmente serviti al mattino, a mezzogiorno e alla sera, o, ancora, con la necessaria pulizia della propria cella, che ella scoprì essere fissata un paio di ore prima del pranzo: in tali momenti, benché alto sarebbe dovuto essere considerato il livello di sorveglianza comunque preposto a garanzia del corretto contenimento dei detenuti, la donna guerriero dagli occhi color ghiaccio non poté evitare di cogliere diversi punti deboli nella difesa dei propri carcerieri che le avrebbero potuto concedere non solo possibilità di prevalere su di loro, ma, probabilmente, anche la speranza di allontanarsi da quelle mura e da quella intera città in maniera sufficientemente discreta. Ciò nonostante, ella non tentò mai alcuna rivolta, alcuna azione, in quanto così facendo, probabilmente, avrebbe dovuto rinunciare non solo alle proprie vesti, a cui si poneva affezionata in maniera a dir poco compulsiva, ma anche e ancor più, alla propria spada bastarda, a quell'arma in lega metallica dai riflessi azzurri frutto della sapienza dei fabbri figli del mare, il cui filo, la cui forza, difficilmente avrebbero potuto trovare rivali di sorta in quelle terre, in quell'intero continente: quella lama le era stata donata qual pegno della riconoscenza propria delle stesse persone che, accanto al suo nome, avevano posto l'attributo di Figlia di Marr'Mahew, e, in ciò, la mercenaria non avrebbe potuto negarsi un certo legame emotivo con essa, tale da non concedere spazio all'idea di lasciarla in gratuito tributo a quella città e ai suoi abitanti, i quali, forse, neppure avrebbero saputo realmente apprezzarla, stimarla nel proprio legittimo valore. Per simili ragioni, che probabilmente altri avrebbero considerato chiaro sintomo di follia, ella accettò in maniera tranquilla la propria prigionia, quell'oscena condannata priva di ragione e di colpa, affrontando la questione non diversamente da come avrebbe agito nel corso di una propria missione.
Solo al quinto giorno, la figura già nota della propria unica, reale, interlocutrice, di quella guardia che, al momento del suo arresto, aveva offerto riprova di riuscire a relazionarsi con lei in maniera efficace, interruppe la monotonia di quelle ultime ore, della settimana ormai quasi interamente trascorsa nello spazio soffocante proprio di quel loculo, per offrirle un'ormai inattesa svolta nel proprio personale caso giudiziario.

« Vieni con me. » le ordinò, con voce chiara e inconfondibile, ancor prima che la porta della sua cella fosse aperta « Sarai lavata, rivestita e resa presentabile per comparire innanzi al magistrato. » soggiunse immediatamente, a estensione del concetto precedentemente introdotto con le prime tre parole, nel mentre in cui, ora, il sempre piacevole suono metallico e meccanico del chiavistello segnalò come qualche secondino stesse operando al fine di sbloccare quella pesante barriera lignea atta a mantenerla lì segregata.
« Ti stai prendendo giuoco di me? » domandò Midda, proponendo lo stesso tono fiero ed energico che già l'altra donna aveva avuto occasione di mal sopportare, quasi volesse immediatamente dimostrare quanto quella prima, breve, condanna non si fosse riservata vittorie nel confronto con il suo spirito, sempre combattivo, perennemente pronto alla battaglia.
« Se preferisci attendere l'occasione di un'altra udienza, non hai che da dirlo. » replicò la guardia, ora mostrando finalmente il proprio volto oltre la soglia dischiusa « Ti avviso che potrebbero passare altri cinque giorni, o forse più. A te la scelta… »

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