11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

www.middaschronicles.com
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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 12 maggio 2011

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« D'
accordo. » sorrise Salge, mantenendo la scodella nella sinistra e levando, al contempo, la destra a richiedere da parte sua una tregua nella dimostrazione di tanta gratitudine, tale da imporgli ragione di reale imbarazzo « D'accordo, ho inteso: sei in debito con me. » annuì, osservandola con fare incuriosito « Vorrà dire che, nel giorno in cui io diverrò capitano di una nave, tu mi seguirai in qualità di mio secondo… » commentò, con tono incerto fra serietà e scherzo, tale da non permettere di comprendere entro quali limiti egli stesse esprimendosi con reale volontà d'intenti ed entro quali, al contrario, stesse semplicemente giuocando con lei.
« Così sia. » annuì Midda, con entusiastica convinzione a quella proposta, tale da suggerire, implicitamente, il fatto che ella avrebbe potuto proseguire in quella vita abbastanza, e con sufficiente successo, da riuscire a conquistare un simile risultato, un tale traguardo.

La Storia, del resto, è già per noi testimone di come quelle parole, così allora pronunciate con scherzosa leggerezza, pochi anni più tardi non mancarono di segnare un nuovo, incredibile capitolo nella vita dei due bambini, divenuti ormai adolescenti, un giovane uomo e una giovane donna che, insieme, offrirono nuova occasione di vita a una vecchia carcassa abbandonata, lo scheletro di una goletta apparentemente priva di futuro che, nel loro impegno, nella loro passione, ritornò a solcare i mari con il nome di Jol’Ange. Ma per giungere a tale epoca, al momento dell’abbandono da parte dei due della vita a bordo della Fei’Mish e dell’inizio di tale nuova avventura, è necessario che io proceda con ordine, non saltando alcuno fra i passaggi principali di questa vicenda nella volontà di rendervi edotti sulla medesima e, come promessovi, sulle reali ragioni che, dieci anni più tardi, videro la nostra protagonista costretta ad abbandonare quanto tanto faticosamente conquistato, reso proprio: l’amore offertole dal proprio compagno, il dolce piacere derivante dal contatto con la propria nave, l’incomparabile libertà propria di una vita trascorsa in mare, senza alcun confine, senza alcuna frontiera impossibile da valicare.
E il primo passo da compiere per arrivare a offrire comprensione in tutto ciò, ovvio e immancabile, non può che essere quello di riferire di quanto accadde sette giorni dopo la scoperta della piccola Midda a bordo della corvetta; passando, successivamente, a raccontare di quando, come e perché ella iniziò a esser addestrata dal proprio nuovo mentore, Degan, non solo alla vita di bordo ma, ancor più, a divenire una formidabile guerriera; senza dimenticare, alfine, di riportare quanto accadde in occasione del suo ritorno a casa.

La settimana che seguì la propria promozione da clandestina a mozzo, fu, per la futura Figlia di Marr’Mahew, uno fra i periodi più importanti della propria intera vita, reso tale non tanto dalla sofferenza che pur le fu propria in ogni singolo giorno della medesima, che ne contraddistinse ogni notte al punto tale da spingerla, sempre più e con maggiore forza, sul baratro della disperazione, dal quale, ogni volta, venne tratta in salvo unicamente in grazia del premuroso intervello di Salge, quanto, piuttosto, per l’insegnamento che esso le volle inculcare, una consapevolezza che non l’avrebbe più abbandonata per il resto della sua vita: quello proprio della fondamentale differenza fra la fantasia e la realtà, fra immaginazione popolare e quotidianità, fra una leggenda e il reale succedersi degli eventi dalla medesima riferita.
Al pari di molti, e probabilmente di ognuno fra noi, infatti, la piccola Midda Bontor era cresciuta a sognando gli eroi e le eroine delle grandi ballate, uomini e donne straordinari, protagonisti di vite straordinarie, incapaci di provare pena, sofferenza, dolore o fatica, e, altresì, capaci di dichiarare guerra al mondo intero in nome di grandi ideali, di principi di pace, di giustizia e di libertà per tutti i popoli. In tal modo indottrinata, e sì distante dalla violenza della vita quotidiana, della realtà altresì più comune, più consueta qui nel continente, ella non aveva ancora avuto occasione di comprendere quanto il semplice pensiero, la mera volontà, per quanto salda nella propria essenza, non potesse permettere ad alcuno il raggiungimento di un obiettivo, non senza che, accanto a tale ideale fosse investito molto tempo, parecchia energia e tanto, tanto, tanto sudore. Un concetto che, probabilmente, ove analizzato con mente fredda e distaccata, non potrebbe apparire meno che ovvio, che banale, e che pur, quando vissuto sulla propria pelle, non può che essere tremendamente complesso da comprendere e da applicare, così come, dopotutto, ha da esser giudicata dimostrazione il rapporto di molti con la fede e con i propri dei. Facile, e troppo diffuso, è infatti l’invocare, da parte del proprio dio o della propria dea prediletta, un aiuto particolarmente mirato nel momento del bisogno, un miracolo tale da salvarci da un fato spiacevole o doloroso: meno semplice, al contrario, è essere pronti a sputare sangue per la conquista dei propri obiettivi, per il conseguimento dei propri traguardi e, più in generale, per la difesa della propria autodeterminazione. E proprio dell’importanza di tal condizione psicologica ed emotiva, dell’esigenza di agire, ancor prima di sperare e pregare, la bambina ebbe modo di comprendere la fondamentale necessità per il proprio presente e per il proprio futuro, facendone tesoro.
Così, nonostante il dolore, la sofferenza e lo sconforto pur vissuto in ognuno di quei sette, importanti giorni, nella superazione dei quali, probabilmente, sarebbe stata perduta in assenza del proprio nuovo amico, quasi fratello, Salge, Midda riuscì, a poco a poco, a iniziare a comprendere quanto nulla di tutto ciò che le stava accadendo avesse da esser considerato al pari di una punizione divina addotta da Thyres in reazione alla sua fuga da casa, né, parimenti, al pari di una punizione terrena addotta dal capitano Mas Fergi, o da Degan in reazione al suo ormai passato ruolo di clandestina a bordo della corvetta. Così, se Thyres, indubbiamente, doveva avere questioni più importanti di quella a cui rivolgere il proprio interesse, responsabilità superiori tali da rendere vana questione il fato di una bambina allontanatasi imprudentemente dalla propria famiglia e dalla propria terra natia; parimenti Mas Fergi e Degan, non avrebbero mai potuto permettersi di nutrire e proteggere, a bordo della propria nave, una persona in più senza farne fruttare la presenza, senza offrire un senso al suo lavoro, senso che non sarebbe mai potuto essere ritrovato in semplice sadismo. Consapevolezza rafforzata, quest’ultima, dalla riprova di come, invero, le parole apparentemente prive d’incoraggiamento a lei rivolte da Salge nel corso della loro prima sera insieme, nel merito della sin eccessiva generosità a lei riservata dai due uomini, non avrebbero dovuto essere riconosciute meno che reali, concrete, veritiere, non essendo stato quel suo primo giorno di lavoro nulla di straordinario nel confronto con l’attività di chiunque altro a bordo della Fei’Mish, né, tantomeno, a confronto con quanto a lei venne richiesto nei giorni successivi.

Alla luce di tale ancor embrionale, e pur già significativa, maturazione in lei, evoluzione nel suo cuore e nella sua mente, ineluttabile ebbe da esser considerato il corso del dialogo che, raggiunto il primo porto utile a disfarsi di quell’imprevista e inizialmente indesiderata presenza, vide protagonisti la piccola e il suo nuovo capitano, colui che le aveva concesso un’occasione di vivere il proprio sogno e di comprendere quanto, all’attenzione di molti, di chiunque non sufficientemente motivato, esso sarebbe potuto essere giudicato sol quale incubo.

« Ehy, soldo di cacio. » la richiamò a metà mattina la voce di Degan, convocandola dalle profondità della stiva nella quale, per sua stessa volontà, era stata inviata meno di un’ora prima, a porre la propria presunta conoscenza della lettura, della scrittura e del far di conto al servizio del cambusiere, in un compito inaspettatamente rilassante per quel suo settimo giorno, volto a verificare lo stato delle loro riserve, inevitabilmente intaccate in misura differente dal pianificato in conseguenza di quella stessa presenza aggiunta a bordo « Lascia un attimo da parte la tua matematica e vieni qui… » le ordinò.
« Agli ordini. » rispose la bambina, consegnando al cambusiere i propri appunti e correndo, rapida, verso il marinaio, dando per certa la fine di quell’inattesa interruzione dei propri abitualmente più faticosi incarichi, ma, ormai, decisa ad accettare di buon grado ogni compito destinatole « Eccomi… a cosa mi devo dedicare? » domandò, impegnandosi a dimostrare un entusiasmo che, in effetti, ancor non le era proprio, e che pur, dal giorno precedente, si era fatta proposito di impegnarsi a palesare, fosse anche e solo nella volontà di sorprendere il proprio “aguzzino” con un comportamento più appropriato per la vita di bordo.
« Fosse per me avresti dovuto finire di fare i tuoi calcoli, per poi impegnare le tue manine nella manutenzione delle cime, prima di legartene in vita una e calarti a prua per scrostare lo scafo. » premesse l’uomo, a sottolineare quanto quell’interruzione non dovesse essere confusa quale conseguente a un suo esplicito desiderio « Ma il capitano ha detto che desidera parlarti. Quindi corri al cassero di poppa e inizia a pensare alle parole migliori da utilizzare per dire addio a me e a tutte le mie angherie… ma non ti aspettare di vedermi commosso, quando sarà. »

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