11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 10 maggio 2012

1573


O
ffrendo riferimento alle informazioni di dettaglio ricevute, Guerra si pose in cammino verso il monte Kuno, consapevole soltanto che al momento opportuno le sarebbe stato chiaro verso quale più precisa direzione volgere i propri passi. O, per lo meno, così ella sperava, pregando in favore o dell’evidenza offerta dalle ossa di coloro che prima di lei si erano avventurati in quella direzione; o del ritrovarsi personalmente attaccata, e in grazia di Thyres non offesa, da quelle fantomatiche creature metà feline metà umane.
Non che per lei l’idea di affrontare creature ibride, mostri mitologici o, anche solo, creature metà umane e metà feline, avrebbe dovuto essere considerata qual pari a un’esperienza nuova, nel citare, prima fra tutte, la sfinge della lontana Shar’Tiagh, da lei combattuta e vinta molti anni addietro, bestia ipoteticamente immortale e, soprattutto, sostanzialmente invincibile, soprattutto quando combattuta senza alcuna arma al proprio fianco. Ciò nonostante, e, anzi, proprio in quanto esperta nel mestiere da lei abbracciato per gli ultimi tre decenni di vita, ella non avrebbe mai, e poi mai, potuto affrontare a cuor leggero una nuova prova, di qualunque natura essa avrebbe potuto rivelarsi essere. Ella era, infatti, conscia di come il concedersi una qualunque forma di arroganza sarebbe stato per lei lesivo non di meno di quanto non avrebbe potuto esserlo affrontare con eccessivo timore quella nuova prova: nel primo caso, ritenendosi superiore a qualunque periglio che sarebbe potuto esserle offerto in una terra a lei straniera e quasi del tutto sconosciuta, ella avrebbe potuto gettarsi scioccamente nelle fauci di una creatura completamente nuova, originale rispetto a qualunque mostro affrontato in passato, così come era dopotutto effettivamente stato in occasione di ogni antagonista mai incrociato prima; nel secondo caso, reciprocamente, ella avrebbe corso il rischio di affrontare con eccessivo timore, con irragionevole rispetto, una creatura altresì tutt’altro che meritevole di tante, di troppe attenzioni, un mostro le cui gesta erano state eccessivamente esaltate in irreali leggende e che avrebbe potuto sconfiggere con un semplice colpo di spada ben assestato.
Per tali ragioni, tanto solide da risultar quasi retoriche, da sempre Guerra aveva preferito affrontare l’ignoto con spirito animato da una giusta dose di timore e di coraggio, di ritrosia e di ardimento, di razionalità e di incoscienza, non dando nulla per scontato nel proprio futuro e, al tempo stesso, riservandosi la speranza di farcela, di riuscire a sopravvivere ancora un giorno, per essere in grado di porsi alla prova in un’altra, sempre temibile battaglia.
E proprio allo scopo di porla alla prova, in quel frangente, nel mentre di quel viaggio, sembrò avvenire ciò che avvenne; nell’offrirle, ben prima di qualunque gatto mannaro, umanoide e carnivoro, nonché affamato di carne umana, occasione, anzi, necessità, di dimostrare il proprio talento, di definire, ancora una volta, il proprio valore, dimostrando a tutto e a tutti come ella avesse da essere realmente giudicata incarnazione vivente del concetto stesso di guerra, al pari di quanto dichiarato dal nome da lei proclamato.

« Attenta! » gridò una voce, forse proveniente dal nulla, o forse da ogni luogo, impossibile a dirsi nel dedalo naturale costituito da quella foresta.

Un avviso che, sebbene una parte di lei volle rifiutare di ritenere qual necessario, venne comunque e palesemente preso in considerazione, permettendole di ovviare a un’indubbiamente sgradevole opportunità di morte, e di morte violenta, qual solo le sarebbe altrimenti stata imposta da un’incredibilmente affilata lama piombata su di lei dall’alto.
Quella lama, la presenza della quale la sua mente aveva preso subitanea coscienza, almeno nelle sue più intime speranze, o della cui esistenza, in un alternativa meno gradevole, ella aveva maturato consapevolezza solo in immediata conseguenza all’allarme offertole da una voce sconosciuta; parve provenire dal nulla al pari del correlato allarme, ma si riservò subito una chiara, netta e inequivocabile volontà in direzione del suo corpo, del suo capo, bramando trasparentemente di poterlo aprire con un colpo deciso, con un movimento energico, in conseguenza della quale alcuna speranza di sopravvivenza le sarebbe stata concessa. E nel confronto con una tanto ostile presenza, la mercenaria non poté che opporre una istintiva evasione, un movimento che la vide scivolare lateralmente e concedere alla propria potenziale carnefice solo il vuoto ove prima era il suo corpo, l’aria ove avrebbe potuto essere la sua carne e il suo sangue, facendo propria speranza e vita ove avrebbe potuto essere solo morte.

« Thyres… » esclamò ella, rotolandosi nell’erba e, rapida, recuperando una postura eretta, per non concedersi scoperta a nuovi, potenziali, e forse ovvi, attacchi « Ma chi diamine…?! » commentò nella propria lingua natia, preferendo dedicare tutti i propri sforzi a conquistare l’occasione di un nuovo giorno di sfide e di battaglie, piuttosto che a parlare fluentemente e correttamente la lingua locale.

Sebbene qualunque lama, in una condizione qual quella così evolutasi, nell’essere ricaduta dal cielo in sua offensiva, avrebbe potuto essere da Guerra definita qual temibile; quella particolare arma si conquistò degnamente tale titolo non tanto per il proprio operato, ma prim’ancora per le proprie dimensioni, per la propria sproporzione, nel confronto con le quali qualunque altro pensiero o considerazione sarebbe stato necessariamente minimizzato al ruolo di banale sciocchezza. Quella lama, quella spada, infatti, sebbene forgiata nella foggia tipica del luogo, nelle proporzioni a lei ormai ben note ma non ancor pienamente apprezzate, si volle imporre allora con un’assurda estensione di quasi sei piedi, in ciò dimostrandosi maggiore in altezza alla stessa donna guerriero, e in ciò palesandosi improponibile all’uso non solo per lei ma, anche e peggio, per un qualunque altro essere umano, rendendo pertanto difficile presumere quale entità o creatura potesse aver ragione di servirsi di un’arma simile, inservibile tanto per dimensioni quanto, e ancor più, per peso.
E proprio nelle dimensioni di quella lama, oltre a tali e pur corretti dubbi, non avrebbe potuto essere da lei ignorata anche un’ottima ragione a favore di una rapida individuazione del suo non ancor rivelato antagonista, ancora prima di un eventuale adiuvante per così come palesatosi in quell’effimero grido. Perché ove anche ella non avrebbe potuto ignorare un giusto sentimento di gratitudine nei riguardi di chi dichiaratosi in tal modo suo alleato, suo amico; necessariamente prioritario sarebbe lì risultato definire l’identità, e la natura, del proprio nemico, prima che ogni sforzo in suo aiuto potesse essere scioccamente vanificato.

« Un gigante?! » ipotizzò ella, aggrottando la fronte e continuando a esprimersi nella propria lingua madre, per le ragioni già palesate « Nessuno mi ha parlato di giganti. E i giganti non sono facili da nascondere. » commentò, con scarno umorismo, allora a lei sol necessario per mantenere un minimo di autocontrollo, per non abbandonarsi a qualunque emozione in quel momento vivibile.

Definire il proprietario di quell’arma qual gigante, probabilmente, sarebbe stato eccessivo, laddove la mano adatta a chiudersi attorno a quell’impugnatura non avrebbe dovuto essere grande più del doppio di quella della mercenaria. Ma, in quella situazione, l’eccesso non sarebbe potuto essere criticato.
Non, dopotutto, quando la realtà non si sforzò di negare tale ipotesi, pur sviluppandola in percorsi che mai la mercenaria, malgrado tutte le proprie esperienze passate, avrebbe potuto prevedere, concedendole, in ciò, un’ancor apprezzabile, o forse no, originalità nella propria quotidianità. Originalità che, tuttavia, avrebbe potuto troppo facilmente, un giorno o l’altro, definire la sua morte, ormai non più definibile prematura, ma non per questo gradevole o desiderabile.

« E tu… cosa accidenti dovresti essere? Un cugino di mio marito?! » esclamò Guerra, stringendo con vigore la propria spada dagli azzurri riflessi, e pregando, in cuor suo, affinché anche in questa nuova sfida essa non la tradisse, ove se davvero quella creatura si fosse rivelata tenace qual il suo sposo, difficilmente se ne sarebbe potuta liberare.

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