11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 17 settembre 2012

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Ah’Reshia – Madre! Madre!!! (Esclama, tentando di arrestare l’allontanamento della figura materna, quella sua silenziosa fuga, verso l’oblio dal quale, per lei, per aiutarla e sostenerla, aveva deciso di riemergere.) Non andartene… non andartene, madre! Ho ancora bisogno dei tuoi consigli, dei tuoi insegnamenti, della tua forza. (Ammette, sinceramente.) Non mi lasciare… ti prego!
(La nutrice, senza comprendere, si volti a cercare una qualche eventuale interlocutrice della fanciulla, senza però, ovviamente, trovarne. Ragione per la quale, a placarne l’animo turbato, si stringa maggiormente a lei, sperando di poter, in tal modo, concedere una qualche ragione di conforto.)
Reja – Calmati… calmati, bambina mia. (Tenta di tranquillizzarla.) Disgraziatamente tua madre se ne è andata molto tempo fa, a pochi mesi dalla tua stessa nascita. E non è cosa saggia disturbare il riposo dei morti, così come, con le tue grida, tenti di fare…
Ah’Reshia – Mia madre è stata con me in tutti questi mesi! (Protesta, cercando di condividere quanto, purtroppo, può essere intesa qual mera follia.) E’ stata lei ad aiutarmi e a proteggermi mentre sono rimasta lontana da casa, addestrandomi per divenire una guerriera qual anch’ella era. (Narra, del tutto indifferente al fatto di quanto, tali parole, potrebbero farla apparire furoi di senno.) Solo che io non avevo compreso che fosse lei. Non avevo compreso che fosse mia madre. Non avrei potuto, del resto, dal momento che non la conoscevo, che non ero stata neppure informata della sua esistenza. E così l’ho assimilata a Midda Bontor, alla protagonista di tutte le cronache che amo leggere e seguire. L’ho accolta come fosse ella e, malgrado ciò, di ciò, ella non mi ha mai mosso rimprovero. Al contrario… mi è sempre stata vicina. Sostenendomi e aiutandomi, guidandomi e formandomi, per divenire ciò che avevo bisogno di divenire, per accogliere il retaggio che, dagli impostori, mi era stato negato.
Reja – Mi spaventa sentirti parlare così, Ah’Reshia. (Dichiara, non riuscendo ora a minimizzare quelle parole quali conseguenza di un semplice momento di eccitazione o di depressione.) Quasi mi domando se sia giusto dirti quanto sto dicendoti, informarti nel merito di eventi propri di un passato troppo lontano per essere modificato e, pur, ancora capace di modificare il presente e l’avvenire, quali ripercussioni per sangue innocente versato allora come ora.
Ah’Reshia – Non solo è giusto, mia amata nutrice, ma, da parte tua, ora, ha da considerarsi addirittura obbligatorio, in quanto non sono solamente io a domandarti di donare giustizia ai morti, né, parimenti, sono soltanto i miei genitori. (Scuote il capo.) E’ tua figlia Kona a chiedertelo. E’ lei che te lo domanda, che ti supplica di mettermi a conoscenza di questi eventi, affinché la sua morte possa essere vendicata insieme a quella di tutte le altre vittime della follia del principe sanguinario, Mu’Sah.
Reja – E sia. (Annuisce, ritrovando, nella memoria della figlia morta così rievocata, una solida ragione per proseguire, per giungere sino in fondo alla faccenda.) Che si chiuda oggi quella triste parabola di morte incominciata quattordici anni fa. E che, la figlia vendicatrice, possa compiere il proprio destino, offrendo morte all’assassino dei propri genitori.
Ah’Reshia – Come sono morti? (Le domanda, pertanto, nel ricollegarsi alla questione e alla narrazione rimasta in sospeso.) Perché sono morti?!
Reja – Perché tuo padre era un uomo benestante e innamorato di sua moglie; perché tua madre era una donna forte e innamorata di suo marito; ma, soprattutto, perché sei nata tu. (Spiega, in effetti restando sufficientemente critica in questa prima asserzione.) Mu’Sah non poteva sopportare l’idea che una coppia potesse essere tanto felice, tanto benedetta dagli dei, non solo nel loro reciproco amore ma, ancor più, nella nascita di un’erede, un’erede fatta nascere dalle mani che avrebbero dovuto prendersi cura dei suoi figli, se solo egli avesse avuto modo di avere dei figli.
Ah’Reshia – Vuoi… vuoi dire che…?!
Reja – Sì. (Annuisce, ora con malcelata soddisfazione nel potersi concedere un simile annuncio.) Il principe è impotente. E tutto il suo potere, tutta la sua nobiltà, nulla può in contrasto a questo limite che gli dei, dall’alto della loro saggezza, gli hanno imposto.
Proprio a causa di tale limite, tuttavia, egli non ha accettato l’idea che i tuoi genitori potessero avere una figlia e, così, non appena si ha avuto l’evidenza del tuo ottimo stato di salute, egli ha convocato a corte Kolna e Carsa, invitandoli entro le spire di una trappola mortale.
(Ah’Reshia trattenga quasi il fiato a quelle parole, come se un suo semplice prendere voce possa distrarre i suoi genitori da quegli eventi già passati e, ciò nonostante, per lei mai così presenti.)
Reja – Hanno combattuto. A glorificazione della loro memoria va ricordato quanto abbiano combattuto, impegnandosi con le unghie e con i denti per la loro sopravvivenza e per la tua salvezza.
Ma il numero di guardie mobilitate in loro offesa era schiacciante… e, alla fine, per quanto accompagnati da almeno un paio di dozzine di avversari, essi sono caduti. Tua madre per prima, offrendo il proprio corpo qual scudo per tuo padre, ed egli subito dopo, invero troppo sconvolto per potersi concedere di combattere ancora e, malgrado ciò, ancora combattendo, per la tua salvezza.
Ah’Reshia – No! (Geme, soffocata per il dolore di quella perdita, di quella cronaca già nota nella propria conclusione e, tuttavia, non più pietosa.)
Reja – Così è stato. (Annuisce, semplicemente.) E tu, coperta da capo a piedi dal sangue di tutti coloro in quel giorno caduti, ultimi dei quali i tuoi genitori, sei stata affidata nuovamente alle mie cure, come nel giorno della tua nascita. E in quel giorno, a tutti gli effetti, tu sei nata una seconda volta, qual figlia del principe Mu’Sah Ul-Geheran e di sua moglie Ah’Lashia. La figlia che entrambi non avrebbero mai potuto avere e che, al costo della vita dei tuoi genitori, hanno avuto.
Ovviamente quanto è avvenuto non è passato del tutto inosservato agli occhi del popolo e, in breve tempo, i fatti hanno assunto tratti a dir poco epici. E se sentirai questa storia narrata da altri, ti verrà riferito che sono morti due nobili d’Y’Shalf, e la loro figliola, di una casa opposta a quella del principe… o altre idiozie simili, utili sovente più a confondere le idee che a riportare la memoria degli eventi.
Ah’Reshia – … nata… due volte… (Ripete, sconvolta all’idea della morte dei suoi genitori, di quei genitori che non ha mai conosciuto e che sono morti a causa sua, nel cercare di difenderla da chi desiderava sottrarla loro.) Due nomi. Due famiglie. Due vite. Due retaggi. (Riflette, ad alta voce, confusa, sempre più confusa.) Ho vissuto una vita intera credendo di essere qualcuno. E nel sangue di coloro che reputavo miei parenti mi sono risvegliata alla mia vita precedente. La vita dalla quale mi ero allontanata, ancora una volta, attraverso il sangue. Sangue di vita e sangue di morte.
Il sangue che mi dona la vita, è il medesimo che conduce altri alla morte. E’ come fossi una vampira… una vampira che si nutre, inconsciamente, della vita di coloro che le sono vicini, arrivando persino, magari, a commettere l’imprudenza di amarla.
Per quanto dovrà ancora continuare? Quanto altro sangue dovrà essere versato prima che tutto questo termini? E, soprattutto… chi sarò io, domani?
Sarò l’ultima degli Ul-Geheran, principessa di Y’Shalf? Oppure l’ultima degli Anloch, mercenaria infallibile? O, forse, nessuna delle due, privata di qualunque identità o retaggio?
(Domande retoriche, le sue, che non possono prevedere un’effettiva risposta, laddove alcuna risposta potrebbe mai esserle sostanzialmente riservata. Ciò nonostante, Reja non l’abbandoni in questo momento di difficoltà, di smarrimento, per lei unico punto fermo fra la vita che avrebbe dovuto essere e la vita che è stata… e quella che, forse, un giorno sarà.)
Reja – Sarai semplicemente te stessa, bambina mia. Sarai colei che vorrai essere, aiutata dalla consapevolezza di quali siano effettivamente le tue origini. (Commenta, abbracciandola con dolcezza.) E nulla, al di là del nome che adotterai, cambierà l’amore che Kona ti ha sempre rivolto, qual sorella e amica. Così come l’amore che anch’io ti ho sempre rivolto, qual mia figlia non di meno rispetto a colei che ora, purtroppo, giace ai nostri piedi.
Ah’Reshia – Anche io l’ho amata, Reja. E amo te… (Conferma, ricambiando l’abbraccio.) E proprio per questo amore, ora so di dover procedere così come ho detto, così come ho già giurato che avrei fatto. (Sospira profondamente, ritraendosi appena da lei.) Ucciderò Mu’Sah. E con tal atto di giustizia porrò fine a questa orrida spirale di morte che dura da già troppo tempo… che dura, ormai, da quattordici anni.
(Un lungo momento di silenzio segua il rinnovo di tale promessa alla fine di questo penultimo atto.)
(Cali il sipario.)

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