11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 16 gennaio 2013

1823


« Se avete deciso di semplificarmi a tal punto il compito di uccidervi, non sarò di certo io a obiettare! » eccepì egli, in aperta negazione alle proprie stesse parole, non potendo trattenersi da simile reazione emotiva qual sola risposta al comportamento delle proprie nemiche, giudicato privo di ogni possibilità di giustificazione dal proprio personale punto di vista « E’ spiacevole, tuttavia, pensare che il mito della cosiddetta Figlia di Marr’Mahew, della Campionessa di Kriarya abbia a concludersi in una maniera tanto stolida… » soggiunse, cercando, evidentemente, con le proprie parole, di aprirsi una nuova occasione di breccia nell’animo delle proprie controparti.

Ancora una volta, malgrado ogni suo impegno, ogni suo sforzo in tal senso, alcuna delle Midda Bontor lì presenti dimostrò un qualunque interesse nei riguardi del tono di sfida loro destinato, preferendo, a effimere parole, delle quali pur avrebbero potuto riempirsi la bocca, sostituire l’ineccepibilità dei fatti, nella solida fermezza dei propri gesti. Solida fermezza che, per Amazzone, avrebbe dovuto essere allora intesa non soltanto in un tondo dritto, offerto dalla sua lunga e lucente lama dagli azzurri riflessi, in essa rievocanti il mare dal quale il mito la vedeva generata, forgiata, plasmata, non diversamente da colei che la stava allora impugnando; ma anche, e soprattutto, in un montante, lì posto in essere dal suo pugno destro, in nero metallo dai rossi riflessi, e inquadrato verso il mento dell’eunuco, incontrando il quale non avrebbe certamente offerto minore impeto rispetto a quello che avrebbe potuto contraddistinguere l’altra arma, l’altra sua risorsa offensiva.
Un duplice attacco, quello tanto serenamente proclamato nella propria allora immediata offerta, nella propria subitanea esecuzione, la resa del quale lo vide riconoscersi qual a dir poco impeccabile, praticamente perfetto, in misura tale, per la prima volta, da spingersi a preoccupare seriamente il destinatario del medesimo e, soprattutto, le sue possibilità difensive innanzi al medesimo. Perché, laddove né il pugno, né la lama avrebbero potuto essere tollerati, ove condotti a compimento, rendendo sicuramente proprio un potenziale distruttivo a dir poco letale, non semplicemente difficile, quanto addirittura improbabile avrebbe dovuto essere considerato da parte del difensore della Progenie riuscire a muovere con rapidità e precisione il proprio bastone, la propria asta, in termini sufficienti da poter arginare e reindirizzare il percorso di entrambe le armi versi di lui in tal modo rivolte. Ma, come già entrambe le mercenarie si erano concesse l’opportunità di intuire, di supporre e, soprattutto, di sperare, ove quella particolare gestualità, da lui già in più occasioni resa propria nel rispondere alle offensive a lui destinate, non si fosse ancora una volta puntualmente riproposta, i limiti del suo potere sarebbero lì finalmente risultati evidenti, tradendolo e, proprio malgrado, condannandolo. E svelate le dinamiche esistenti a regolamentazione di quelle stregate, innaturali capacità di difesa e di offesa, per le quali già sufficiente pegno le due avventuriere avevano pagato, almeno nel confronto con le proprie preferenze, con i propri desideri, con i propri entusiasmi; non facile, non ovvio, non banale, e pur, egualmente, più semplice, più apprezzabile sarebbe stato per le due professioniste della guerra riuscire a valutare in quale modo porre, nei tempi più stretti possibili, quella controparte tanto arrogante, tanto piena di sé, e pur, sino a quel momento, rivelatasi sostanzialmente vuota, praticamente priva di un qualsivoglia carisma, al punto tale da essere sopravvissuta sino ad allora solo in grazia all’esistenza di una protezione mistica a sua difesa.
In verità, proprio considerando tutto ciò, tale desolante assenza di un carattere degno di nota a completamento di una figura pur potenzialmente interessante, quale egli avrebbe potuto pur essere riconosciuto essere; difficile sarebbe stato ipotizzare per l’una o l’altra avventuriera di aver realmente a che fare con uno stregone, o, comunque, con qualcuno in aria di stregoneria, qual pur, probabilmente, avrebbe preferito essere considerato. Perché in un mondo sin troppo oberato da falsi maghi, capaci giustappunto di pochi fumosi trucchi utili ad abbindolare il sovrano di turno in misura sufficiente a riservarsi sicuro alloggio e indubbio vitto; coloro contraddistinti da reale potere difficilmente non maturavano uno spessore psicologico adeguatamente proporzionato, un fascino opportuno, un ascendente conforme a quanto la medesima gestione di una simile energia avrebbe preteso, tanto in positivo quanto in negativo. Così, ove pur mai alcuna fra loro avesse conosciuto una strega o uno stregone, indegno di un fato certo di morte, inappellabile e incontrovertibile; parimenti mai alcuna fra loro aveva conosciuto una strega o uno stregone, o anche solo un negromante, per quanto addirittura inconsapevole dei propri stessi poteri, meno che regale nella propria più intima essenza: regalità non superficiale, non di mera apparenza, ma sostanziale, concreta, palpabile, in una misura che, al di là di ogni gesto elegante e portamento raffinato, mai avrebbe potuto essere neppur immaginabile all’eunuco loro antagonista.
Ma ben consapevole, anch’egli, di quanto sarebbe stato controproducente per sé e per il proprio avvenire commettere l’errore di cedere all’impeto di un solo attacco, di una sola offensiva, senza replicare puntualmente il piccolo miracolo di sangue che già aveva visto alcune ferite più o meno superficiali segnare i corpi delle proprie antagoniste; Eunuco evitò accuratamente di porsi in una posizione tanto scomoda, tanto disgraziata, arrivando, per tal scopo, a rinunciare persino a quel momento di confronto, a quella difesa e alla conseguente offesa, per la prima volta evadendo a un’aggressione ancor prima di contenerla, con un agile e deciso balzo all’indietro, che lo condusse al di fuori delle speranze di aggressione della controparte. Un gesto, il suo, che suo malgrado non avrebbe potuto che essere inteso qual dimostrazione di debolezza, una rinuncia a confronto trasparente di quanto terribilmente errato sarebbe stato riconoscergli una qualunque particolare invulnerabilità, una qualsivoglia invincibilità, qual avrebbe potuto anche essergli stata erroneamente attribuita alle origini di quel confronto, di quella sfida, quando tale un attributo era apparso per lui proprio.
Ove, comunque, la mercenaria soprannominata qual Monca, in tempi recenti era giunta persino e addirittura a dichiarar battaglia a un dio, un dio minore eppur sempre un dio, e a vincerlo; improbabile sarebbe stato per lei cedere a eventuali momenti di sconforto a tal riguardo. E ove, parimenti, tutte loro, Midda Bontor, erano lì sopraggiunte motivate solo e unicamente dalla volontà di affrontare apertamente l’y’shalfica fenice, ossia quanto di più vicino a un dio avrebbe mai potuto essere concepito fra tutto ciò che, in quanto appartenente al Creato, non era considerato appartenente a un rango divino; ancor improbabile, se non assurdo, sarebbe stato per loro cedere a eventuali momenti di sconforto nel confronto con un uomo apparentemente indifferente a qualunque ipotesi d’offesa.
Apparentemente… così come egli stesso aveva confermato con quella sua ultima, sventurata, scelta tattica. Un errore al qualche cercò, in termini addirittura imbarazzanti, di rimediare, comprensibilmente senza rendere proprio particolare successo…

« I vostri giuochi mi hanno stancato. » proclamò, tentando di giustificare in tal senso il proprio essersi sottratto innanzi agli stessi « La vostra morte è stata sentenziata nell’istante stesso in cui avete posto piede all’interno di questo tempio, animate dal desiderio di spingere i vostri blasfemi passi sino a cospetto della nostra Signora. » ribadì, nulla di nuovo adducendo al loro confronto, fosse anche soltanto verbale « E per questo perirete, oscurandovi nel fulgore delle fiamme per tutti noi simbolo di rinascita, e per voi soltanto di morte… e di morte certa! »

Un forte sbadiglio, a contrariare la supposta solennità di quel momento, fu quanto si levò allora in sua risposta, a suo commento, non provenendo però dal fronte occupato dalle due mercenarie già inquadrate e affrontate, quanto e piuttosto dalle sue spalle… e da una formazione di altre donne guerriero lì ancor nuove, e probabilmente neppur attese nella propria improvvisa comparsa.

« Per la pazienza infinita di Thyres! » esclamò la voce di Destra, con tono stranito, utile a rivendicare la proprietà del profondo inspirare rimbombato nell’intero antro un istante prima « E’ mai possibile che non abbiate ancora accoppato questo dannato damerino castrato?! »

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