11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 20 gennaio 2013

1827


Un consenso, quello così ricevuto, che non trovò alcuna esitazione, alcuna incertezza nella donna guerriero verso la quale simile invito era stato rivolto, vedendola agire immediatamente, e agire con fermezza a dir poco spietata… non crudele, non malevola, e pur spietata. E se, in conseguenza a tutto ciò, allo sventurato Eunuco venne concessa o meno una reale consapevolezza sulla propria sopraggiunta fine, sulla conclusione della propria esistenza, non fu data occasione ad alcuno di saperlo, benché i più, fra i testimoni allora presenti, sarebbero stati disposti a scommettere sull’eventualità negativa.
Perché quando Monca ricevette quel beneplacito a proseguire, a incalzare, a concludere l’azione e, con essa, la battaglia sin troppo a lungo protrattasi, egli non si fece cogliere del tutto impreparato, non si limitò ad accogliere, quietamente, l’occorrenza della propria fine, altresì, ancora una volta, reagendo innanzi alla stessa, e reagendo con tutta la forza, con tutto il potere concessogli in grazia alla propria lunga asta, a quello strano bastone nero dalle estremità argentate che già più volte, in quell’ultima ora gli aveva concesso l’opportunità di confidare in un’indomani, in un qualche futuro, e in un futuro di gloria, nel quale, accanto al suo nome, sarebbe stato ricordato quello scontro, e la volta in cui egli aveva avuto la meglio su Midda Bontor, su ogni Midda Bontor, nemica della fenice. Così, benché il colpo, uno straordinario affondo condotto, necessariamente, da solo la mancina della propria controparte, fosse stato diretto verso il suo cuore, verso il centro del suo petto, l’intervento di quella propria straordinaria risorsa da lui magistralmente manipolata, gli permise di credere, ancora una volta, nella propria salvezza e, soprattutto, nella possibilità di imporre l’ennesima dolorosa ferita a quella sciocca che, lentamente e pur inesorabilmente, sarebbe riuscito a scuoiare viva, un attacco dopo l’altro. Tuttavia, in quell’occasione, la stessa sciocca in questione non si limitò a osservare passivamente il proprio colpo venir ridiretto verso una nuova destinazione ma, nell’assistere a ciò, decise di imporre nuova energia al proprio braccio, al proprio polso, a costo di vederlo spezzarsi in conseguenza all’impeto del confronto, dello scontro, per rendere propria la possibilità di scegliere l’obiettivo finale, così come sua intenzione sin dall’istante in cui aveva diretto la propria lama verso il cuore avversario.
Laddove disgraziatamente reale fu il rischio di vedere effettivamente il suo polso, o il suo intero avambraccio, spezzarsi in conseguenza al terribile sforzo richiesto da tale azione, da simile strategia; più che apprezzabile fu, parimenti, il risultato allora conseguito, nel riuscire a opporsi al tragitto scelto dal nero bastone e rivolto, ancora, al suo braccio sinistro, contro il quale già tanto si era accanito, in favore del suo collo, obiettivo inedito e immacolato. Collo contro il quale, senza concedersi possibilità di timore, di terrore inibente per quanto avrebbe potuto pur accadere, ella si volle abbattere con violenza quasi disturbante, spingendo la propria temibile lama dagli azzurri riflessi attraverso quella esile forma, quella fragile presenza, impossibilitata a riservargli maggior ostacolo rispetto a quanto non avrebbe potuto offrirle del burro caldo, spingendosi da un fronte a quello opposto e, ancora, proseguendo oltre, quanto sufficiente, addirittura, a divellere dalle mani del proprio antagonista la sua malefica arma stregata.

« Thy… »

E se, per un fugace istante, non solo Monca, ma anche Amazzone, Treccia, Corazza, Destra, Nera e Rossa, ebbero ragione di trattenere il fiato, nel timore di poter vedere non tanto il capo dell’uomo, quanto quello della donna sua antagonista, decollare, nel separarsi senza pietà alcuna dal resto del corpo, del tronco; l’estenuante, apparentemente eterno e pur tanto rapido da apparir effimero, evolversi degli eventi, vide un fiotto di sangue macchiare, per la prima volta, la carne dell’uomo, prima che, simile a un conato di vomito, a un rigurgito, la sua testa fosse rigettata dalla propria naturale posizione a opera di un nuovo e più vivace flusso di sangue e ricadesse al suolo, seguita, rapidamente e inderogabilmente, dalla restante parte del suo cadavere, di quell’esile presenza ormai completamente privata di qualunque possibile fattore di minaccia.

« … res! »

Stremata dalla tensione, oltre che, necessariamente, dal parziale dissanguamento e dall’affaticamento fisico conseguente a quel lungo confronto, Monca crollò a sua volta a terra, inginocchiata, prima, e quasi prostrata, poi, gemendo il nome della propria dea ora indubbiamente simile a una preghiera, a un inno di ringraziamento, di lode per quanto, in sua grazia, le era stato possibile compiere. E, in tal caduta, ella volle riservar qual proprio non tanto un accenno di sconfitta, quanto e piuttosto un momento di riposo, di requie, nella consapevolezza di quanto, malgrado tutto ciò, la loro sfida non avesse da considerarsi già conclusa, ma solo, e semplicemente, appena iniziata, nella misura nella quale, purtroppo, ancora la prova del fiume di lava le stava attendendo e, dopo di essa, il confronto finale con la ragione della loro comune venuta in quel tempio sotterraneo e dimenticato dagli dei tutti… la fenice.
Ma prima di proseguire oltre, prima ancora di dover riservare alle proprie compagne una legittima e doverosa spiegazione nel merito di come potesse essere accaduto quanto era accaduto, la sconfitta di Eunuco a dispetto di ogni evidenza in senso contrario, ella si volle concedere quell’occasione di pausa, quel momento di riposo, distaccandosi, un attimo, dall’intero universo a sé circostante, qualunque esso fosse, per tornare a concentrarsi soltanto su se stessa, sul proprio corpo, sulle proprie ferite e sulla propria stanchezza, allora ben lontane dal potersi definire sgradevoli o sgradite, in quanto riprova palese del fatto che ella, malgrado tutto, fosse ancora in vita. Perché se pur concreta avrebbe dovuto essere riconosciuta la sua vittoria sul proprio avversario, a discapito di ogni stregoneria, altrettanto concreto avrebbe dovuto essere riconosciuto il rischio da lei corso in quell’azzardo, in quella tattica priva di certezze, priva di sicurezze e, soprattutto, priva d’ogni possibilità di errore.
A suo vantaggio, a suo sostegno, infatti, si era offerta solo l’evidenza di quanto, al di là del proprio potere, al di là della propria palese capacità di trasferire i danni riportati su coloro che li avevano causati; il suo antagonista non avesse ma ridiretto un loro attacco in direzioni potenzialmente letali, ma sempre e solo utili a generare danni superficiali, tagli certamente dolorosi ma non per questo mortali… non, quantomeno, nell’immediato. Una scelta, quella da lui compiuta, che non avrebbe potuto essere in alcun modo giustificata se non con un’inespressa, e pur presente, ritrosia all’idea di poter subire un’offesa più incisiva, un’aggressione peggiore, al di là della propri apparente invulnerabilità. Una ritrosia, di conseguenza, che non avrebbe potuto essere in alcun modo giustificata se non con un’inespressa, e pur presente, incapacità a gestire un’offesa più incisiva, un’aggressione peggiore, quasi come se il potere intrinseco nella sua arma, nel suo bastone, non avesse da considerarsi un dono in termini assoluti, quanto, e piuttosto, una risorsa da dover adeguatamente gestire, da dover impiegare per la propria difesa in maniera consapevole. Motivo per il quale, se solo un attacco fosse stato tanto violento da strappargli, repentinamente, la vita dal corpo, forse… e solo forse… egli non avrebbe potuto impiegare alcuna stregoneria in propria difesa, a propria protezione, così come, in grazia alla benevolenza della sua dea prediletta e degli dei tutti, era avvenuto.

« Monca! » esclamò la voce di Amazzone, improvvisamente accanto a lei, sopra di lei, nel trasmetterle l’evidenza di come, nel mentre in cui la sua mente si era separata dal resto dell’universo, questa fosse sopraggiunta allo scopo di assicurarsi delle sue condizioni « Monca… stai bene?! »
« Non direi proprio, proprio bene… » sorrise la mercenaria così interrogata, sforzandosi di alzarsi da terra quanto sufficiente, per lo meno, a permetterle di ritornare a porsi in ginocchio « Comunque sono ancora viva… e questo è un inizio. »
« Sì… » annuì l’altra, rasserenata dalla sua replica, trovandola adeguata alla condizione in cui ella riversava « Direi sicuramente è che un inizio per noi. » confermò, appoggiandole delicatamente la mancina sulla schiena, quasi, in quel contatto, volesse rassicurarla della propria presenza accanto a lei, per qualunque necessità le sarebbe potuta essere propria « Mentre per il nostro amico è decisamente una fine. » soggiunse, a sottolineare la morte dell’eunuco, ove ve ne sarebbe potuta essere necessità.

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