11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 25 gennaio 2013

1832


« D’accordo. Ho detto un’idiozia. » ammise, sollevando nuovamente la propria spada bastarda solo per riporla, con delicatezza, all’interno del proprio fodero, con un gesto meno controllato di quello che avrebbe potuto gradire compiere, in conseguenza alle spiacevoli condizioni del proprio braccio mancino, destinato soltanto a peggiorare di istante in istante, di ora in ora, fino a quando, per lo meno, non fosse tornata in città e non avesse trovato un bravo cerusico che potesse rattopparla in maniera adeguata « Una nuova idiozia. Speriamo l’ultima. » soggiunse, sospirando.
“Dopo tutto quello che hai vissuto, è comprensibile che tu sia stanca.” osservò la fenice, con un tono per il quale Midda avrebbe potuto dirsi certa che stesse sorridendo “Non temere, pertanto: da parte mia non sussiste alcuna brama d’accusa a tuo discapito; alcun desiderio di rimprovero a tuo sfavore.”

E quasi a dimostrazione di quanto quelle parole non celassero alcuna menzogna, non che la Figlia di Marr’Mahew avrebbe potuto prendere in esame una tale eventualità in associazione a quella particolare figura, a quella straordinaria creatura; essa… ella si mosse con grazia incommensurabile, con leggerezza straordinaria, scivolando lungo il bordo del vulcano artefatto, straordinario monumento concepito per lei forse qual rifugio, forse qual ara, sino a raggiungerla e, ancora una volta, come già in passato, abbracciarla, avvolgendola nel calore delle proprie fiamme.
Fiamme non di morte, così come la donna guerriero non avrebbe potuto che ricordare perfettamente, nel volgere la propria memoria a uno dei rari momenti di assoluta pace nella propria complessa e combattuta esistenza; quanto e piuttosto fiamme di vita, di vita e di rigenerazione, di rinascita, nella benedizione delle quali ogni affanno sarebbe stato dimenticato, ogni dolore sarebbe stato obliato, ogni ferita sarebbe stata curata. Un dono, quello che la fenice le volle così concedere per la seconda volta, del quale mai come allora non avrebbe potuto evitare di avvertire qual immeritato da parte propria, lei che sino a quel tempio sotterraneo si era sospinta, sino a un istante prima, sol animata dalle peggiori intenzioni. Un dono, tuttavia, che non le venne negato e che, inevitabilmente, fu da lei non soltanto apprezzato, ma addirittura adorato, idolatrato, in una misura che, ne era al contempo certa e imbarazzata, tutti gli uomini e le donne che si proclamavano Progenie della Fenice non avrebbero mai potuto realmente rendere propria. Perché se solo essi avessero avuto occasione di godere di quanto ella stava lì allora godendo, non avrebbero mai potuto fallire, non avrebbero mai potuto perdere, né contro di lei, né contro alcun altro avversario, umano o divino che esso fosse, dal momento in cui per alcuna ragione al mondo, neppure la morte, si sarebbero negati la possibilità di tornare a beneficiare di tutto quello, di quell’abbraccio nella dolcezza del quale l’intero Creato avrebbe smarrito qualunque significato.
Più di qualunque lussuriosa passione, più di qualunque afrodisiaco nettare, più di qualunque eccitante droga, tanto era inebriante, sconvolgente e assuefante il contatto con la fenice, in una misura tale per cui, nel momento in cui esso fosse venuto meno, troppo semplice sarebbe stato il rischio di una crisi isterica, di un subitaneo moto di depressione, qual sola e ineluttabile risposta all’astinenza che, in ciò, sarebbe stata imposta. E neppure per la Campionessa di Kriarya ciò avvenne in maniera indolore, per quanto, come già in passato, mirabile effetto collaterale di quell’unione avrebbe dovuto essere riconosciuta una miracolosa rigenerazione di tutto il suo corpo, non soltanto limitatamente alle ultime ferite subite, ma anche, e ancor più, a qualunque senso di stanchezza, di frustrazione e di impotenza qual, malgrado le sconvolgenti imprese da lei compiute, da ormai troppo tempo gravavano sul suo cuore e sul suo animo, oltre che sul suo corpo e sulla sua mente, effetto di quel vortice negativo di eventi che, sin dal proprio ritorno dal lungo viaggio in Shar’Tiagh insieme all’amato Be’Sihl, l’avevano vista quasi sempre protagonista e, in una misura indubbiamente sgradevole seppur relativamente minore, talvolta vittima.
Simile a un divino colpo di spugna, quindi, si era nuovamente dimostrato quell’abbraccio, quel gesto apparentemente semplice e del quale, comunque, non esisteva alcuna testimonianza, non limitatamente, quanto meno, alla conoscenza di Midda dei miti e delle leggende, per lei pur irrinunciabilmente necessari nell’esercizio della propria professione, laddove, nella maggior parte delle proprie avventure, solo in grazia al vasto bagaglio di conoscenze sulla mitologia e sulle meno comuni credenze, ella aveva avuto occasione di salvezza. In grazia a esse, e alla propria mente che in tal senso aveva rivolto riferimento, ancor prima che ai propri muscoli, ove se così non fosse stato qualunque spacca crani avrebbe potuto raggiungere la gloria che soltanto lei era altresì riuscita a conquistare.

“Spero che ora tu possa sentirti più tranquilla…” definì, ritraendosi da lei e, in ciò, allontanandosi di sei piedi dal suo corpo, pur, nella propria accecante luminescenza, riscaldandone ancora le carni con la propria imparagonabile energia.
« Più… tranquilla?! » ripeté l’altra, sgranando gli occhi con aria attonita, quasi le fosse stato comunicato di come la terra avesse preso il posto del cielo, e il cielo quello del mare « Dei… se fossi più tranquilla di così, sarei morta. » sorrise, sincera in quell’espressione forse sin troppo colorita nel rapporto con una creatura qual la propria particolare interlocutrice in quel momento « Morta e cremata, per la precisione. » specificò, laddove troppe volte si era venuta a scontrare con dei morti che, malgrado tutto, non erano poi così morti come avrebbero dovuto essere.

Improvvisamente guarita da ogni ferita, improvvisamente sanata da ogni stanchezza, debolezza o ansia, la Midda Bontor già chiamatasi Monca, visse allora due reazioni emotive, in rapida successione: un momento di incontenibile ilarità, nel quale esplose a ridere e a ridere di gusto, per la sensazione della quale stava nuovamente godendo, di quella serenità che, da troppo tempo, non era in grado di avvertire più qual propria; e, subito dopo, un momento di probabilmente inevitabile eccitazione, fisica e mentale, emotiva e spirituale, per la quale, allora, avrebbe voluto essere con il suo adorato locandiere ma, anche, avrebbe voluto essere nuovamente a cospetto della propria duplice avversaria, Nissa  Bontor e Anmel Mal Toise, certa che, in entrambe le condizioni, avrebbe avuto ragione di indicibile divertimento.
E fu proprio quel pensiero fugacemente rivolto a colei che, sotto ogni profilo, avrebbe dovuto essere considerata la propria nemesi, che la costrinse a ritornare seria e concentrata sul presente, e sulla fenice innanzi a lei, laddove, se dalla medesima non avrebbe potuto pretendere vendetta, ingiusta e immotivata, quantomeno avrebbe potuto richiedere una qualche spiegazione…

« Credo che sia giunto il tempo che tu mi spieghi qualcosa, vecchia mia… » riprese pertanto voce, a lei… o essa, rivolgendosi con la stessa familiarità ricevuta. « Cosa sta accadendo? Al centro di quale guerra sono, inconsapevolmente, precipitata?! »
“Dici bene.” annuì l’altra, piegando appena il capo in avanti, nel mentre in cui continuò a fissarla con i propri immensi occhi neri, allora più che mai dominanti su di lei a una distanza tanto ravvicinata “E’ giunto il tempo che io ti spieghi tutto. Perché, al di là del proprio immotivato fanatismo, coloro che si definiscono mia Progenie hanno ragione su una questione: il ritorno di colei che chiami Anmel Mal Toise, l’Oscura Mietitrice, potrebbe segnare la fine di tutto.”
« E’ già la seconda volta che ti appelli ad Anmel definendola come “colei che io chiamo”… perché questa precisazione? Perché questa necessità di puntualizzazione? » domandò la Figlia di Marr’Mahew, tornata a essere così lucida, così padrona di sé da non potersi concedere opportunità di indifferenza attorno a quella particolare definizione, per così come scandita « Non è forse ella la defunta regina Anmel? Colei che le leggende ricordano come la Portatrice di Luce e come l’Oscura Mietitrice? »
“Sì… e no.” confermò e negò, ancora una volta, la fenice, ribadendo in ciò quanto superficiale avesse da considerarsi la consapevolezza della sua interlocutrice su quanto stava accadendo attorno a lei, tale da concederle soltanto mezze verità, mezze verità in conseguenza alle quali una probabile vittoria avrebbe potuto trasformarsi in una sicura sconfitta “Perché a dominare la tua sorella gemella Nissa, non è soltanto l’ombra di colei che tu conoscesti con il nome di Amie, figlia dell’ultimo dei faraoni di Shar’Tiagh, ma anche un potere più arcano, un principio più antico, che in lei ebbe occasione di crescere rigoglioso, nutrendosi della brama di dominio, e di dominio assoluto, che la spinse, ancora fanciulla, a ordire la morte del suo stesso padre, che pur lei aveva sempre e oltre luogo amato pur consapevole di come ella sarebbe stata la fine del regno del popolo eletto per così come era stato decine di secoli.”

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