11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 28 aprile 2013

1924


E proprio in tal senso, malgrado fosse già stato interrotto per due volte, primo-fra-tre volle riprendere voce, scandendo la propria condanna con un tono, un incedere che avrebbe voluto far apparire freddo distacco emotivo e che, invece, nulla risultò diverso da un iracondo sfogo verso coloro che tanto gli avevano mancato di rispetto, che in tal misura avevano apparentemente rifiutato di riconoscere la minaccia da lui rappresentata…

« Se tutti voi desiderate morire… non temete: sarà mia premura accontentarvi! » annunciò, tuonando con la propria voce priva di genere, priva di reale identità, non soltanto al di sopra dei propri candidati antagonisti, quanto dell’intera isola, che, fin nelle proprie fondamenta, parve tremare nel confronto con tale proclama, con la violenza espressa da quelle poche, semplici parole.
« … io non penso! » ringhiò in replica Midda, trasparentemente disapprovando la minaccia in tanto esplicita veste rivolta a discapito di tutti coloro che, indifferenti al letale pericolo lì imperate, si erano schierati in sua difesa, a sua protezione, anche a rischio della propria stessa incolumità.

Negazione, quella allora espressa dalla Campionessa di Kriarya nel confronto con il manifesto promosso dal loro antagonista, che non si limitò a quella risposta, a quella rabbiosa reazione verbale, ma che ebbe lì modo di concretizzarsi con un repentino scatto della mercenaria in avanti, in direzione dello stesso vicario, per quanto allora fluttuante al di sopra di qualunque possibilità di essere raggiunto, di essere da lei effettivamente colpito, fosse anche in grazia al più straordinario salto che mai avrebbe potuto compiere. O, per lo meno, al più straordinario salto che avrebbe mai potuto compiere impiegando solamente le proprie forze, le proprie energie, senza ricevere alcun aiuto, alcuna collaborazione a lei esterna.
Per sua fortuna, però e infatti, ella non avrebbe dovuto allora considerarsi né sola né privata di alcuna possibilità di aiuto, di collaborazione da parte di coloro a lei circostanti. Al contrario, in quel proprio scatto, in quella propria decisa avanzata, ella aveva allora già considerato qual proprio l’aiuto di chi, era certa, non l’avrebbe mai delusa, non avrebbe né ignorato, né frainteso quanto a lei sarebbe potuto allora servire. E, a non offrirle possibilità di insoddisfazione o insuccesso in quella propria iniziativa, proprio coloro che avrebbero allora dovuto intendere, intesero… e agirono come già avevano avuto modo di agire alcuni anni prima, in un’occasione simile, in un contesto praticamente equivalente, quando, alla loro compagna, alla loro amica e sorella, era stata necessaria un’energica spinta verso l’alto dei cieli, a raggiungere una gargolla in volo, intenta ad allontanarsi da loro recando seco un prezioso ostaggio.
Fu così che, a concretizzare la negazione della donna dagli occhi color ghiaccio a discapito di primo-fra-tre, cooperarono Howe e Be’Wahr, i due fratelli mercenari che con lei avevano condiviso molteplici avventure per quasi tutta la durata di quell’ultimo decennio, intrecciando le proprie braccia, anche l’arto di inanimato metallo dorato che aveva sostituito il mancino perduto dallo shar’tiagho, per offrirle nuovamente quello stesso trampolino da lei già adoperato, già sfruttato, e che, in quel nuovo frangente, fu richiesto, e ottenuto, senza che neppure una singola voce dovesse essere spesa a tal proposito. E ben prima che chiunque, al di là dei tre protagonisti allora direttamente coinvolti, potesse intendere quanto stava per accadere, ella balzò da terra sulle braccia dei suoi due più fedeli alleati e, da lì, sfruttando la combinazione della spinta ottenuta per loro grazia e quella conseguente alla propria stessa muscolatura, si proiettò verso la volta celeste e, nello specifico dettaglio rappresentato da quel contesto, verso l’odiato bersaglio.

« Thyres… » invocò, muovendo il proprio sinistro, armato dell’immancabile spada bastarda, sopra la testa, dietro la nuca, per lì caricare tutta la proprio forza, tutte le proprie energie, nel più violento fendente che mai sarebbe riuscita a portare a compimento, entro i limiti per lei purtroppo propri in conseguenza all’assenza di una mano destra a offrirle ulteriore possibilità di supporto, di impeto « … guida la mia lama! » pregò, con tutta la fede che mai avrebbe potuto rivolgere in direzione alla propria pur amata dea, a quella divinità che sin da bambina, proprio entro i confini di quell’isola, le era stato insegnato a venerare e adorare.

Se l’intera azione si sviluppò e si concluse nell’intervallo di tempo proprio di un fremito di ciglia, di una fuggevole pulsazione cardiaca, tale da rendere il tutto potenzialmente improbabile non soltanto da seguire ma, addirittura, da percepire; incredibile e persino paradossale sarebbe stato allora constatare come chiunque, fra i testimoni lì presenti, si ritrovò ad assistere a tale spettacolo con la stessa possibilità di attenzione, di cura del dettaglio, che avrebbe potuto essere loro propria se simile evoluzione fosse occorsa in maniera incredibilmente statica, e tale da presentare, in lenta, lentissima successione una serie di quadri ritraenti esattamente quanto, allora, ai loro occhi stava venendo offerto di contemplare.
In tutto ciò, pertanto, ad alcuno poté sfuggire la dinamica del balzo per così come da lei compiuto. Né, parimenti, ebbe occasione di essere ignorato il movimento da lei condotto per posizionare la propria lama dietro alle spalle, pronta a spingersi in quel micidiale fendente in conseguenza al quale una qualunque persona, un qualunque mortale, si sarebbe ritrovato, probabilmente, spezzato in due distinte metà, senza neppure poter maturare consapevolezza del perché ciò fosse effettivamente accaduto. O, ancora, ad alcuno poté essere negata la possibilità di seguire l’inesorabile percorso di quella stessa spada bastarda, nel mentre in cui, con fermezza e con violenza, veniva spinta a ricercare occasione di contatto con quella testa volante, quel cranio, ammesso di poterlo considerare tale, che avrebbe potuto sperare di aprire quasi fosse un frutto maturo, spargendone la succosa polpa sull’intera piazza sotto di sé, in quella morte sostanzialmente benedicendo tutti coloro che, da essa, avrebbero potuto soltanto trarre occasione di vita. E, alfine e purtroppo, a tutti non poté che risultare estremamente chiaro, incredibilmente trasparente come tanto impegno nei suoi confronti, a discapito di quella terribile minaccia, non avrebbe dovuto considerarsi altro che vano, nel momento in cui, ancora una volta, il vicario ebbe quella prontezza di riflessi, quell’autocontrollo, utile a lasciar dissolvere, per un fugace istante, la propria stessa, più intima essenza, la propria carne o quanto, per lui, avrebbe dovuto essere considerata tale, in misura sufficiente a permettere a quella lama, a quella condanna, di attraversarlo senza scalfirlo, di trapassarlo senza nuocergli in alcuna misura, salvo, quasi nello stesso istante, ricomparire accanto a lei, davanti a lei, là dove ci si sarebbe attesi dovesse essere, per offrirsi pericolosamente pronto a colpirla.

« Te lo dissi già all’epoca… né Thyres né altri dei potranno venire in tuo soccorso! » parve quasi allora sussurrarle, benché la sua voce, quella sua strana e orrida voce, poté essere ancora una volta udita distintamente da chiunque lì attorno, e forse anche più in là, quasi egli avesse gridato simile avvertimento.

E ben prima che ella potesse iniziare a ricadere verso il suolo, soggetta a quella legge naturale che mai le avrebbe concesso di potersi librare in aria qual un volatile, costretta a ricercare sempre e comunque un contatto con la terra da cui ella era nata e nell’abbraccio della quale ella, prima o poi, si sarebbe ritrovata morta, forse per anzianità, più probabilmente per una prematura e violenta dipartita; la mercenaria fu costretta allora a confrontarsi con le più spiacevoli conseguenze della propria offensiva, di quell’azzardo che aveva, troppo impetuosamente, voluto rendere proprio, e che, per questo, la ritrovò a essere esposta a qualunque capriccio quell’orrido antagonista avrebbe potuto voler rendere proprio.
Un capriccio, il suo, che nella fattispecie, ebbe a concretizzarsi nella creazione di una nuova e più grossa sfera di insana energia, una sfera dall’azione della quale, a distanza tanto ravvicinata, e in una posizione così indifesa e indifendibile, non avrebbe potuto in alcun modo essere ovviata nella propria terrificante condanna, nella propria orribile sentenza di morte. Una sentenza che, allora e alfine, ebbe a palesarsi in una sconvolgente esplosione di luce, nella quale Midda Bontor, Figlia di Marr’Mahew e Campionessa di Kriarya, scomparve innanzi agli sguardi tanto accecati, quanto e ancor più attoniti di tutti coloro lì impegnati a seguire, in maniera obbligatoriamente passiva, quel tanto tragico ultimo capitolo della sua incredibilmente avventurosa esistenza.


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