11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 5 giugno 2013

1962


« E per momenti come questo che sarei disposta a morire per te non una volta… ma cento e cento ancora… » ammise ella, con un profondo sospiro, sinceramente rapita non soltanto dalle parole dell’uomo amato quant’anche dai suoi gesti, i soli che avrebbero mai potuto spingerla a considerare quella frase, quell’affermazione, non quale un qualche giuoco a suo discapito, non quale una beffarda replica alle sue precedenti asserzioni, a quel suo precedente intervento nel quale si era a lui rivolta in simili termini, quanto e piuttosto quale la più concreta, reale e assoluta affermazione d’amore, l’unica nella quale avrebbe mai potuto credere o sperare, l’unica che avrebbe mai potuto offrirle rassicurazione nel merito del loro rapporto, della loro relazione, in quel travagliato presente così come in qualunque futuro avrebbe potuto essere loro destinato dai capricci degli dei.
« Io non desidero che tu sia disposta a morire per me una o cento volte… » precisò l’uomo, scuotendo appena il capo e ritraendosi dalla sua mano per quanto sufficiente a permettergli di osservarla meglio, offrendo i propri occhi in quelli color ghiaccio di lei, il proprio sguardo in quello soltanto apparentemente gelido della donna amata e che, sapeva, tanto lo amava « … tuttavia, io prego gli dei tutti affinché tu sia disposta a vivere per me. E non cento volte… mi accontenterei anche e soltanto di una. »

Per la Campionessa di Kriarya, quella con Be’Sihl non avrebbe dovuto essere considerata la prima relazione d’amore, il primo rapporto che si era mai concessa di vivere con un uomo. Al contrario, e in effetti, nella sua vita ella aveva avuto un numero sufficientemente elevato di compagni, per periodi di tempo più o meno lunghi, da poter suscitare l’indignazione di coloro più assoggettati a talune linee di pensiero contraddistinte da un profondo fondamentalismo patriarcale, in coloro innanzi al giudizio dei quali difficile avrebbe dovuto essere riconosciuta una qualsivoglia approvazione nei confronti dell’esistenza di donne non vergini, non illibate, benché, dal canto proprio, tutt’altro che destinanti eguale trattamento, identico giudizio, anche nei propri stessi confronti o, più in generale, nei confronti di qualunque uomo, i quali, al contrario, avrebbero dovuto poter vantare il maggior numero di conquiste possibili, nella più semplice e disarmante incoerenza caratteristica di simili filosofie.
Al di là del numero non ridotto, seppur neppure realmente straordinario, di compagni, tali da rendere ingiustificabile, per lei, qualunque comportamento fanciullesco, al di là dell’età che, difficilmente, avrebbe ormai potuto essere posta in banale paragone con quella di una giovinetta; soltanto stupefacente, e per questo disorientante, avrebbe dovuto essere riconosciuta la capacità di quell’uomo, di quel locandiere shar’tiagho, di saper toccare corde del suo animo nel merito della mera esistenza delle quali anch’ella aveva perso cognizione nel corso degli anni, e, in ciò, ancora capaci di porla in imbarazzo, non di meno rispetto a un’adolescente nel confronto con il proprio primo amore, con emozioni per lei, sino a quel momento, ancora inedite, mai precedentemente vissute, sperimentate o, anche e soltanto, immaginate. E forse, alla base di un tale, incredibile successo nei suoi confronti, e nei confronti delle sue emozioni, avrebbe dovuto essere solamente riconosciuta la fondamentale assenza di pregresse e assimilabili relazioni, di rapporti simili a quello o, quantomeno, similmente a quello desiderosi di esplorare ogni aspetto dell’amore, da quello più appassionato e selvaggio, nel confronto con il quale ella avrebbe potuto definirsi quietamente confidente, a quello più dolce e romantico, con il quale, al contrario, non avrebbe potuto evitare di riconoscersi decisamente meno a proprio agio, per mera, e pur oggettiva, inesperienza.
In suo soccorso, tuttavia e allora, non volle mancare proprio colui che, pur involontariamente, l’aveva posta in quella situazione di stallo, in quel vicolo apparentemente privo di vie di fuga, dal quale ella non sarebbe forse riuscita a uscire, individuando una replica idonea a quell’invito, a quella dolce supplica in grado di vincerne qualunque belligeranza, giocosa o meno che fosse allora stata. Così, animato dalla sola ed esplicita volontà di aiutarla, di soccorrerla, egli mutò repentinamente e drasticamente discorso, prendendo voce nel merito di una questione ben diversa, se pur, invero, non meno importante di quanto non avrebbe potuti esserlo quella nel merito del loro rapporto, della loro relazione.

« … come sta andando con tuo nipote? » domandò, probabilmente in maniera un po’ troppo diretta, un po’ troppo esplicita, per come chiunque non avrebbe potuto ritenere indicato nel merito di un argomento tanto delicato, tanto spiacevole qual quello avrebbe dovuto essere necessariamente riconosciuto; e pur, non di meno, in modi che ella non poté assolutamente deprecare, nel preferire qualcosa come quello ancor prima di troppi giri di parole, un discorso troppo lungo e indiretto che, all’obiettivo prefisso, a quella pur immancabile quesito, sarebbe giunto solo dopo troppi, inutili, fronzoli, che in alcun modo avrebbero potuto reso la questione più apprezzabile, meno spiacevole rispetto a quanto non fosse.
« Difficile a dirsi… » commentò ella, scuotendo appena il capo con fare desolato, non tanto in conseguenza all’assenza di una migliore risposta da rivolgere a un tanto importante interrogativo, quanto e piuttosto per le ragioni alla base di una tale assenza, ossia per la propria quasi assoluta assenza di risultati nel proprio confronto con il giovane Leas, il quale si stava allora dimostrando un interlocutore decisamente più impegnativo di quanto ella non avrebbe potuto apprezzare ritrovare in un contesto come quello, benché, al tempo stesso, quasi lieta nel constatare quanto quel complicato nipote, fortunatamente, avesse a doversi considerare degno erede di suo padre, oltre che, inevitabilmente, di sua madre, nell’imperturbabile ostinazione che appariva evidente condividere con entrambi, soprattutto nel sostenere la propria posizione, o, come in quel frangente, la propria innocenza a qualunque accusa rivoltagli.
« Considerando come nelle sue vene scorra il tuo stesso sangue, la cosa non mi stupisce particolarmente. » osservò Be’Sihl, in ciò non desiderando, in particolare, tessere le lodi del giovane, quanto e piuttosto difendere l’assenza di risultati così implicitamente dichiarata da parte della mercenaria da lui amata, e che conosceva sufficientemente bene da comprendere cosa avrebbe dovuto essere realmente inteso dietro a quell’ultima sua affermazione « E’ pur sempre un Bontor… e tutti i Bontor che ho conosciuto sino a oggi si sono dimostrati particolarmente tenaci nelle proprie posizioni, giuste o sbagliate che avessero a doversi giudicare. » insistette, ad argomentazione e sostegno di quanto appena asserito, di quella valutazione che, in tal mondo, le stava donando, nella speranza di rincuorarla o, quanto meno, ovviare a nuove espressioni di tanto smarrita demotivazione qual quella da lei pocanzi rivoltagli.
« E’ anche un Tresand… e, per quello che può valere, ti posso assicurare che anche suo padre non era solito scherzare, in termini di testardaggine. » suggerì, accennando un lieve sorriso nel seguire il più che esplicativo consiglio del proprio amato e, in tal senso, incalzando nella stessa direzione da questi appena indicatale, allo scopo di rinfrancarla nel confronto con i propri scarsi risultati.
« Come a dire che potrebbe aver preso il meglio di entrambe le famiglie…?! » sorrise il locandiere, accarezzando la mano di lei, ancor trattenuta a sé, seppur ormai non più contro le labbra, con le proprie dita, a dimostrarle in un già tanto semplice gesto, privo d’ogni malizia, il valore dei propri sentimenti, che mai avrebbe permesso ella scordasse, quale una di quelle poche verità assolute della quale non poter mai dubitare, anche nel momento in cui ogni altra certezza avrebbe potuto venir meno.
« Qualcosa del genere. » annuì ella, quasi soddisfatta nel confronto con l’immagine da lui in tutto ciò suggerita, e volta a tradurre, nella carne di Leas Tresand, non solo il retaggio di quel padre al quale assomigliava oltremisura, tanto quanto sufficiente da creare necessario disagio in tutti coloro che, come lei, avevano avuto occasione di godere della compagnia di Salge, ma anche, e non di meno, il retaggio di quella madre a lei nemica, e pur, in ciò, parzialmente, il proprio, se non per la maternità mancata, quantomeno e comunque per il legate pur esistente fra loro, qual zia con il proprio nipote, il primo e l’unico che avesse mai avuto coscienza di avere « Ma, puoi fidarti, presto o tardi inizierà a cantare come un usignolo… e, quando sarà, avremo soltanto da prendere nota, nel timore di poterci dimenticare qualche sfumatura, qualche dettaglio, nel mezzo del fiume di parole con il quale ci investirà, con la violenza di una piena! » rassicurò, benché, in tale contesto, simili parole parvero terribilmente prossime a una minaccia ancor prima che, realmente, a un contraccambiato tentativo di rassicurazione.



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