11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 10 luglio 2013

1997


Alcuno, in fede, avrebbe potuto credere a quella possibilità. Alcuno, in cuor suo, avrebbe potuto accettare l’idea che Midda Bontor non fosse più padrona di sé, in misura tale da star affrontando l’ora della propria morte, della propria disfatta, con l’incoscienza degli ignari, con l’ingenuità di un infante inconsapevole del pericolo proprio del mondo a sé circostante, e di quanto male, da esso, sarebbe potuto derivare. Né fra i suoi amici, né fra i suoi nemici, né fra coloro che l’amavano, né fra quelli che l’odiavano, avrebbe potuto esservi una tale convinzione, perché tanto gli uni, quanto gli altri, al di là delle differenze di posizioni, di vedute, di opinioni, non avrebbero potuto negare alla donna guerriero quel rispetto da lei oggettivamente meritato in conseguenza alle proprie azioni, ai propri successi, ai propri trionfi, a ciò che aveva affrontato e vinto nel corso di quegli anni, e di quegli ultimi anni, in particolar luogo.
Che l’Ucciditrice di Dei potesse sorridere innanzi alla morte per semplice incoscienza, per mera inconsapevolezza; non avrebbe potuto essere considerata una linea di pensiero accettabile, non avrebbe potuto essere ritenuta un’alternativa reale o realistica. Che ella, altresì, potesse sorridere innanzi alla morte perché, a dispetto di tutto, convinta di poter sopravvivere, certa di poter ancora vincere, a costo di dover sterminare, per tal fine, non solo la propria gemella, ma anche tutti coloro a lei circostanti, tutta l’intera popolazione di Rogautt; avrebbe dovuto essere accettata quale un’alternativa più realistica, più accettabile, più concreta. Un’alternativa, pertanto, da temere allo stesso modo in cui si avrebbe avuto a temere l’infuriare di un tornado, la devastazione di burrasca, o la ribellione di un terremoto, eventi naturali così terrificanti e così ineluttabili, inarrestabili, che pur soli avrebbero potuto essere posti a confronto con ciò che, oggettivamente, ella era e rappresentava, acclamata in quell’interno angolo di mondo con l’appellativo di prole della dea della guerra non per semplice vanità, non per banale superbia, ma per merito concreto, tragicamente indiscutibile, mortalmente incontrovertibile.
Nel confronto con tutto ciò, con tanto particolari premesse, l’ultimo miglio della vita della Campionessa di Kriarya, prigioniera e condannata a morte, avrebbe potuto essere paradossalmente riconosciuto qual la sua ultima vittoria, il suo definitivo trionfo, in contrasto a chiunque potesse illudersi realmente di averla piegata, di averla alfine dominata. E le guardie preposte a sua sorveglianza, i pirati preposti a completamento di quel tanto particolare corteo, non avrebbero potuto che apparire persino più spaventati di lei, più terrorizzati di quanto ella avrebbe dovuto dimostrarsi essere, senza pur concedere la benché minima soddisfazione in tal senso, poiché a dispetto di quanto la moritura non apparisse, i suoi carcerieri, i suoi secondini, lasciavano trasparire concreta, reale e palpabile ansia per il proprio destino, per la propria sorte, nell’inconscia certezza di quanto, loro malgrado, non sarebbe alfine stata lei a morire…

« Perché questa maledetta cagna continua a sorridere…?! » domandò una fra i pirati a lei circostanti, rivolgendo tale interrogativo, in maniera indistinta, forse ai propri compagni, forse alla stessa mercenaria, forse al proprio medesimo intelletto o, forse e ancora, a nessuno in particolare, laddove difficile sarebbe stato attendersi una qualche replica in tal senso o, persino, spiacevole avrebbe avuto a doversi riconoscere tale eventualità, dal momento in cui, in ciò, avrebbe potuto essere rivelata una realtà nel merito della quale alcuno avrebbe realmente voluto essere informato, avrebbe effettivamente desiderato maturare consapevolezza alcuna.
« … chiedilo a lei. » suggerì un altro fra i pirati, in tono che, ancor prima che trasparente di un reale invito, di un concreto suggerimento, avrebbe dovuto essere considerato meramente carico di semplice sarcasmo, contraddistinto da una non sottile vena ironica, che, dietro a quella sfida, non tentava in alcun modo di celare l’evidenza di quanto né ella, né alcuno altro fra loro, avrebbero avuto desiderio di ricercare numi in tal senso, in tal direzione, subendo già sufficiente negativa influenza dalla banale presenza della Figlia di Marr’Mahew, senza necessitare di ulteriori ragioni utili a poter considerare quel preciso frangente, quell’esatto momento, quella tragica circostanza, ancor più letale di quanto già non stesse apparendo… e letale, in contrasto a ogni raziocinio, non per la donna guerriero, quanto, e piuttosto, per loro stessi, coloro che, in quel momento, la stavano accompagnando al proprio patibolo.

Prevedibilmente, la questione ebbe pertanto a morire sì spontaneamente come era sorta, con la stessa semplicità con la quale era stata inizialmente scandita, non incontrando neppure in colei che l’aveva originata una motivazione idonea a essere protratta per un solo, singolo istante di più. E la Campionessa di Kriarya, lì sorridente, incompresa vittima o forse carnefice, al centro di quella tanto precaria danza con la morte, continuò insistentemente a mantenere la quieta espressione in viso dietro la quale si era celata sino a quel momento; in tutto ciò sicuramente in parte alimentata dalla scena in tal modo presentatale e che, senza un suo qualunque o particolare intervento, era lì sorta e decaduta in un lasso di tempo tanto breve da farla apparire grottesca; e pur, non di meno, certamente ispirata in tal senso dalla consapevolezza di come, conservando simile atteggiamento, foggiando ancora e in maniera del tutto inalterata e, forse, inalterabile, quel particolare stato d’animo, avrebbe potuto rendere propria una maggiore speranza di successo, una migliore, e ciò non di meno sempre effimera, prospettiva di sopravvivenza, in una situazione alla quale, altrimenti, non avrebbe potuto attendersi la benché minima benevolenza, tanto da parte di uomini mortali, così come di dei immortali.
Ma laddove, a riguardo degli dei immortali, difficile sarebbe stato esprimere un qualunque giudizio di merito, nella loro possibile ed eventuale interesse nel confronto con tutto quello, con tale sua forse coraggiosa, forse incosciente impostazione psicologica; a riguardo degli uomini mortali, decisamente più semplice, indubbiamente più ovvio, avrebbe avuto a considerarsi tutto ciò, soprattutto nel constatare come, allora, non una semplice minoranza, ma l’apparente totalità dei pirati di Rogautt, stava affollando ogni singolo piede di spazio circostante al luogo eletto qual palcoscenico di quel macabro spettacolo, non soltanto stringendosi in maniera quasi soffocata lungo le vie e i viottoli del paese divenuto città e capitale, ma, addirittura, inerpicandosi sui tetti della stessa, per cercare, se non di poter assistere, quantomeno di poter intuire il corso degli eventi, per così come si sarebbero sviluppati, per così come si sarebbero evoluti, nella certezza di come, qualunque cosa fosse occorsa, di certo sarebbe stata storica… se non, più esplicitamente, epica. E tale era il marasma di corpi, arti e volti, lì in tal modo venutosi a creare, che, non banalmente improbabile, ma più puntualmente impossibile, sarebbe stato per chiunque riuscire a identificare un singolo individuo all’interno della massa, una singola persona all’interno di quell’accozzaglia disordinata, lasciando intendere, in conseguenza, quella non tanto quale una semplice folla, quanto e peggio una vera e propria entità omogenea, all’interno della quale anche le più variegate e originali caratteristiche etniche, ancora una volta, sarebbero state del tutto annichilite, disperdendosi come una goccia nel mare.
Figli di Tranith così come di Kofreya o Y’Shalf, progenie dei regni desertici settentrionali come, anche, di Shar’Tiagh o Far'Ghar, eredi del vasto impero di Hyn come anche pallidi albini provenienti da chissà quale angolo di mondo: tutti erano lì semplicemente quali membra di un unico corpo, di una sola, sterminata creatura, nella quale anche le più antiche inimicizie, le faide fra nazioni che da secoli vedevano impegnati in una guerra fratricida interi regni, in opposizione ai propri vicini, sarebbero risultate del tutto prive di qualunque valore, prive di qualunque significato, in un’unificazione globale che, se soltanto non fosse stata votata, più o meno inconsapevolmente, all’Oscura Mietitrice, avrebbe avuto un che di magnifico, sarebbe apparsa prossima a una straordinaria utopia. Purtroppo, però, tanti uomini e donne, lì posti in maniera del tutto paritaria, senza alcuna pur vaga possibilità di discriminazione, in quello che anche per la stessa Campionessa di Kriarya avrebbe avuto a considerarsi un insperato sogno, si stavano presentando qual riuniti e animati da una sola volontà, da una sola brama, espressa in un roboante coro disordinato…

« … morte… morte… morte… morte… morte… »


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