11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 22 marzo 2014

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Falamar non stava scherzando. E ne ebbi evidenza nel momento stesso in cui, dopo soltanto quattro ore di attesa, riuscii ad arrivare, per la prima volta, a contatto con un burocrate impiegato all’interno di quell’ufficio di collocamento, sostenendo con lui una delle conversazioni più frustranti di tutta la mia esistenza. In termini tali che, non lo nego, per un istante presi persino al vaglio l’idea di liberare Desmair e lasciar sì che fosse egli, con il suo esercito di spettri, a occuparsi dell’intera questione.
Purtroppo quella avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual, semplicemente, la prima di una lunga serie di prove del tutto equivalenti, se non, anche, peggiori. Ragione per la quale, che potessi apprezzarlo o meno, perdere il controllo così presto non avrebbe avuto altro effetto che rendermi degno di ritornare a confronto con l’accusatore Zafral… e con qualunque genere di destino egli avrebbe potuto esigere per me.

« Tessera d’identità, prego… » esordì il burocrate, senza neppure sollevare lo sguardo verso di me, limitandosi a tendere una mano e a restare comodamente seduto dietro a una sorta di bancone non troppo dissimile da quello oltre il quale anche io avevo servito per decenni, se non per l’aggiunta di una specie di vetro divisorio fra me e lui, le ragioni alla base del quale mi risultarono evidenti non appena il dialogo iniziò spiacevolmente a degenerare nel proprio senso logico.
« … scusa?! » domandai, dimentico per un istante dell’impiego della terza persona qual espressione di cortesia, in tal senso rilassatomi, psicologicamente, nel piacevole confronto con il mio nuovo amico canissiano.
« La sua tessera d’identità, prego. » ripeté, enfatizzando con la propria voce l’aggettivo possessivo opportunatamente declinato al fine di essermi, non di meno, da monito nel mantenere una certa correttezza formale nei suoi confronti.
« Ehm… mi scusi. » mi corressi immediatamente, appoggiandomi appena contro il bancone per avvicinarmi, istintivamente, al vetro, nel timore di non essere chiaramente udito al di là del medesimo « Io… io temo di non avere una tessera d’identità. »
« La prego di non appoggiarsi al divisorio. » commentò, levando per la prima volta gli occhi nella mia direzione, soltanto per rivolgermi la peggiore fra tutte le occhiatacce che mai mi fossero state rivolte, lasciandomi in conseguenza della stessa sentire colpevole per ragioni di cui non avevo la benché minima idea, e che per me non avrebbe neppure avuto senso di investigare, dal momento in cui, già così, il mio unico desiderio avrebbe avuto a essere inteso quello di fare, in qualche modo ammenda.
« Mi scusi… » mi rammaricai pertanto, traendomi nuovamente indietro, quasi scottato dalla vicinanza con quel vetro… o qualunque cosa esso fosse.
« La sua tessera d’identità, prego. » insistette, tornando a riabbassare lo sguardo verso gli strani macchinari presenti sulla sua scrivania, la consapevolezza effettiva della natura dei quali, ancora, non mi era stata concessa da alcuno.
« Come le stavo dicendo io temo di non avere una tessera d’identità… » tentai di ripetermi, laddove, evidentemente, il primo avviso in tal senso non aveva sortito particolare effetto.
« … il prossimo. » cercò di concludere il burocrate, tagliando breve ed escludendo qualunque ulteriore possibilità di dialogo fra noi.
« No! Mi scusi! » mi opposi, gettando per un istante uno sguardo alle spalle, a comprendere se, chiunque fosse dietro di me, avrebbe avuto di che lamentarsi per la mia ulteriore permanenza in quel punto tanto ambito « Io sono qui per cercare un lavoro… »
« Tutti sono qui per cercare un lavoro, signore. » evidenziò il mio interlocutore, aggrottando appena la fronte e, ancora, nonostante tutto, non degnandomi neppure di un ulteriore sguardo, avendo evidentemente io già esaurito ogni diritto in tal senso « Ma senza una regolare tessera d’identità, le non ha diritto a esigerlo. Buona giornata… » mi spiegò e mi congedò in maniera che, a posteriori, avrei dovuto intendere persino eccessivamente caritatevole nei miei confronti, benché, in quel particolare momento, mi parve quantomeno irritata… e irritante.
« Aspetti! » cercai nuovamente di sostare allo sportello, ancora una volta verificando che alle mie spalle non vi fossero segnali di impazienza « Mi dica per lo meno come posso ottenere questa tessera d’identità… »
« Se ha smarrito la sua tessera d’identità, compili in triplice copia il modello quarantadue, presentandolo allo sportello diciassette accompagnato dalla denuncia di smarrimento. » illustrò, ancora sforzandosi di apparire il più possibile collaborativo nei miei riguardi, benché, dal mio punto di vista, non avrebbe potuto essere descritto esattamente così « … buona giornata. »
« Veramente io non ho smarrito la mia tessera d’identità… non l’ho mai avuta! » dichiarai, scuotendo il capo nell’aggrapparmi, quasi, a quel bancone con le unghie, e non in senso metaforico, innanzi al timore di poter essere allontanato di lì a forza « Sono arrivato soltanto oggi su Loicare… »
« Ah… questo cambia tutto. » commentò con tono sorpreso il burocrate, considerandomi degno di un nuovo sguardo, nel riportare verso di me la propria attenzione « Per richiedere una tessera d’identità, dovrà compilare in triplice copia il modello quarantaquattro, presentandosi allo sportello diciassette accompagnato da un contratto che dimostri il suo regolare impiego lavorativo. » definì, concludendo con l’ormai immancabile « Buona giornata, signore. »

Lo ammetto. Mi ci volle un istante per comprendere esattamente gli annessi e i connessi di quell’ultima indicazione. Fra numeri di modello e di sportello, qualunque cosa oltretutto volessero significare, quella spiegazione apparentemente adeguata al mio problema, alla mia situazione, mi spinse scioccamente a retrocedere di un passo, quasi sussurrando un « Buona giornata… » in risposta a quello rivoltomi. E solo quando, ormai, un’altra persona aveva già occupato il mio posto allo sportello, la mia mente riuscì a ricollegare tutte le tessere del mosaico, ponendomi davanti a un’immagine palesemente errata… incoerente… addirittura paradossale.
Così, mi concessi occasione di porre l’unica cosa che non avrei dovuto osare tentare di fare: tornare a chiedere ulteriori spiegazioni.

« Mi scusi… » esclamai, in direzione del burocrate, già impegnato con chi sopraggiunto dopo di me « Ma come è possibile che io presenti il mio contratto di lavoro per richiedere la tessera d’identità, se per ottenere un contratto di lavoro ho bisogno della tessera d’ident…?! »

Fu questione di un istante.
Prendete un sistema pensato esclusivamente per ledere l’integrità psicologica di coloro che in esso sono risucchiati. Prendete troppe ore trascorse in attesa del proprio turno. Prendete un malcapitato, come il sottoscritto, che, non per propria colpa, si ritrova disorientato innanzi non soltanto a tale sistema, ma anche alla maggior parte dei termini impiegati all’interno del medesimo, traduttore automatico a parte. E prendete molta altra gente in coda che non ha alcuna ragione per offrire sostegno al malcapitato di cui sopra, soprattutto nel momento in cui egli appare soltanto desideroso di rallentare, ulteriormente, il progresso dei lavori, dilazionando, apparentemente senza ragione, il proprio legittimo tempo di permanenza allo sportello e, addirittura, cercando di ritornare indietro dopo essersene appena allontanato.
Fu questione di un istante.
E in un istante, mi ritrovai catapultato, praticamente privo di coscienza, a qualche decina di piedi all’indietro dalla mia allora attuale posizione, qual effetto di un manrovescio da me non soltanto non previsto e non atteso, ma che sopraggiunse persino non realmente visto, non effettivamente percepito, travolgendomi e, in tutto ciò, condannandomi, semplicemente e inequivocabilmente, alla perdita dei sensi.

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