11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 31 gennaio 2017

RM 030


Nei giorni che seguirono, nelle settimane successive, la vita di Madailéin Mont-d'Orb ritornò, non senza qualche difficoltà, alla propria originale normalità in termini nei quali, se il suo corpo non avesse avuto alcuni indelebili promemoria di quanto occorsole, anche ella avrebbe potuto iniziare a credere che nulla fosse successo e che tutto, suo malgrado, avrebbe avuto a doversi considerare conseguenza di un violento esaurimento, forse conseguenza di stress post-traumatico, così come, purtroppo, la Società ebbe a sancire esserle accaduto. Anche perché, al proprio risveglio, non soltanto di Midda Bontor non era rimasta traccia, ma nulla, attorno a sé, avrebbe potuto suggerire la semplice verità della sua esistenza.

Ancora priva di sensi, sul bordo della strada ove la sua mentore l’aveva abbandonata, Maddie fu raggiunta da una pattuglia della polizia locale, allertata nel merito della presenza, in quel luogo, di una fanciulla priva di sensi da una telefonata anonima. Verificata l’effettiva concretezza di quella segnalazione, e convocata un’ambulanza, la giovane venne quindi condotta dai paramedici nel più vicino pronto soccorso, per i necessari accertamenti nel merito delle sue condizioni e per quanto, allora, sarebbe stato necessario avvenisse di conseguenza.
Così, quando ebbe a riprendere i sensi, ella si scoprì sola, distesa su un letto d’ospedale, con indosso soltanto un’orrida camiciola malamente allacciata lungo la sua schiena e con una flebo infilata vicino al suo polso sinistro. Le ferite riportate in conseguenza all’aggressione della gargolla erano state già esaminate, disinfettate e ricucite con qualche punto di sutura, e sul braccialetto al suo polso destro, non senza una certa sorpresa, ebbe a leggere il proprio nome e cognome. Considerando come, nel ritrovarsi trascinata verso l’alto dei cieli, ella aveva perduto non soltanto il proprio cellulare, ma anche la borsa con tutti i propri documenti, soldi e chiavi, il ritrovare il proprio nome su quell’etichetta, a identificarla, avrebbe potuto significare solo una cosa: chi l’aveva lì condotta era stato anche in grado di identificarla e, di conseguenza, di ricollegarla ai sanguinosi eventi che l’avevano vista scomparire dal proprio appartamento.
Midda l’aveva abbandonata. Il suo timore si era tradotto tanto repentinamente in realtà. E ben prima di quanto avrebbe potuto temere, ben prima della conclusione di quella loro avventura, appena iniziata, tutto era già finito. A lei, quindi, rimasta sola, sarebbe stato destinato l’ingrato compito di rimettere in sesto i frammenti di una vita che, ormai, neppure desiderava più vivere.
Quando un infermiere ebbe a rendersi conto che la loro paziente aveva riacquistato coscienza di sé, immancabilmente giunse un esponente delle forze dell’ordine per parlare con lei e poter raccogliere una qualche deposizione utile a comprendere cosa potesse esserle occorso negli ultimi giorni, nonché come si fosse procurata le ferite allora bendate lungo entrambe le spalle. Mortificata in conseguenza della scelta della propria supposta protettrice, della propria desiderata maestra d’arme, Maddie avrebbe voluto potersi chiudere in se stessa, scoppiare a piangere e inveire, senza altri pensieri, sul destino avverso che, ancora una volta, sembrava essersi impegnato a prenderla a schiaffi. Ciò non di meno, il suo raziocinio la obbligò a elaborare quel lutto in maniera differente e, in questo, a mantenersi lucida e concentrata sul presente e su quanto, allora, avrebbe avuto a dover spiegare al mondo.
In ciò, pertanto, ella iniziò a illustrare, con dovizia di dettaglio, quanto accadutole. Ossia che una donna sulla quarantina, presentatasi con il nome di Midda Namile Bontor, aveva fatto irruzione nel suo appartamento delirando nel merito di una qualche fantascientifica minaccia alla sua vita, motivo per il quale ella avrebbe avuto a doverla seguire. Chiamata la polizia, però, prima che qualcuno potesse intervenire in suo soccorso, un altro individuo, sconosciuto, si era presentato alla soglia del suo appartamento e aveva ingaggiato con la prima intrusa un violento confronto. Confronto nel merito dello sviluppo del quale ella aveva ricordi confusi e che, pur, alla fine, si era concluso con un osceno cumulo di sangue, carne e ossa sul suo pavimento. Spaventata, Maddie aveva allora seguito Midda, in un’improvvisata fuga da casa senza una meta precisa. E lì, ancora, i suoi ricordi tornavano a farsi confusi, giacché, alla fine, quella notte, si era ritrovata sola e dispersa in mare, a una distanza imprecisata dalla costa.
Pur non formalmente accusata di alcun crimine, e pur coinvolta come persona informata sui fatti in un’inchiesta per omicidio, alla prima deposizione, nei giorni seguenti, ebbero a seguirne alcune altre, di volta in volta con investigatori o inquirenti diversi, e persino un paio di dottori intenti, allora, a eseguire una valutazione psichiatrica nel merito di quelle sue affermazioni. Un periodo di convalescenza ospedaliera, quindi, per lei tutt’altro che riposante, benché il momento forse più complesso fu quello in cui, il giorno stesso del suo risveglio in quella camera, sulla soglia della stessa ebbe a veder comparire le figure di suo padre e di sua sorella, i visi dei quali, in maniera straordinariamente trasparente, ebbero a trasmetterle tutta la pena, l’angoscia vissuta in quei giorni, pur, fortunatamente, alfine mitigata dal sollievo nel ritrovarla lì, obiettivamente sana e salva.
Anche innanzi alla sua famiglia, ovviamente, la giovane ebbe a dover rievocare, ancora una volta, le dinamiche degli accadimenti occorsi in quei giorni. E anche innanzi a loro, Maddie decise di mantenersi coerente con la prima deposizione, con la prima versione dei fatti, conscia di non potersi permettere di parlare di versioni alternative provenienti da universi paralleli, di morbi cnidariani, di gargolle, o di incomprensibili entità primordiali alla base della Creazione. Ancor prima di essere sottoposta al colloquio con gli strizzacervelli, ella era già perfettamente consapevole di quanto, probabilmente, il suo profilo psichiatrico sarebbe stato compromesso da ciò che già aveva deciso di accettare il rischio di condividere, non potendosi permettere di simulare un’allora troppo comoda amnesia complessiva in merito ai fatti collegati alla sua scomparsa: riservarsi l’opportunità di raccontare di più a riguardo, fosse anche soltanto alla propria famiglia, l’avrebbe ineluttabilmente condannata a una vita sotto psicofarmaci, nel ritrovarsi a essere considerata definitivamente impazzita.
A suo padre e a sua sorella, comunque, di spiegazioni dettagliate nel merito di quanto fosse accaduto, non interessava obiettivamente granché: entrambi, allora, così come nei giorni successivi, ebbero a considerarsi sufficientemente appagati, nelle proprie preghiere, dall’averla ritrovata, dal poterla ancora abbracciare, considerando qualunque ulteriore particolare pari a semplice rumore di fondo. E l’unica preoccupazione che, ancora, avrebbero potuto evidenziare qual propria, avrebbe avuto a doversi considerare semplicemente rivolta alla data in cui, finalmente, avrebbero potuto riportarla a casa.

Passarono quasi dieci giorni prima che gli inquirenti, i medici, chirurghi e psichiatrici, potessero dirsi tutti sufficientemente soddisfatti dal consentirle di lasciare l’ospedale, per poter essere riaccompagnata verso la sua città natale.
Un traguardo che giunse accompagnato da una vasta serie di primi risultati, di prime perizie, alla luce delle quali ella venne considerata qual vittima di un violento esaurimento nervoso, supposto qual conseguente al trauma dell’osceno, e ancor non meglio compreso nelle proprie effettive dinamiche, omicidio consumatosi innanzi ai suoi occhi, a seguito del quale ella aveva accettato di seguire la propria rapitrice, senza neppure realmente considerarla qual tale, forse in conseguenza agli effetti della comunemente nota sindrome di Stoccolma… benché, a tal riguardo, fossero stati richiesti ulteriori accertamenti. Un traguardo, quindi, più simile a una sconfitta che a una vittoria, che fu reso persino ridicolo nella propria occorrenza nel momento in cui ella scoprì che quella riacquistata libertà avrebbe avuto a doversi considerare vincolata, in verità, alla propria permanenza nella casa paterna, risultando il primo ancora sotto sequestro giudiziario fino a quando il fascicolo concernente l’indagine in corso non fosse stato chiuso.
Tornata nella casa della sua infanzia, considerata sostanzialmente instabile a livello mentale, e così lontana da quell’avventurosa realtà che aveva fugacemente potuto esplorare in compagnia di una donna la cui esistenza avrebbe avuto a doversi considerare persino impossibile; Maddie avrebbe potuto considerarsi, allora, sì prossima a un esaurimento, soprattutto ove ancora un altro, e non piacevole, aspetto della sua passata quotidianità avrebbe avuto a dover essere ripristinato, nel suo ritorno al lavoro…

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