11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 21 giugno 2017

RM 171


Sebbene, concluso il confronto con il capitano, Midda avrebbe potuto riservarsi il pomeriggio di libertà, nel limitarsi ad attendere qualunque genere di riscontro da parte del medesimo, tale indolenza non avrebbe avuto a dover essere considerata, per lei, naturale, spontanea, o in qualunque modo in accordo con il proprio spirito, con il proprio cuore, con la propria mente. Da sempre, l’accidia non le era mai stata propria, nel preferire ella, piuttosto, mantenersi impegnata, ed eventualmente impegnata anche in maniera superiore alle proprie possibilità, rispetto ad abbandonarsi pigramente alla sorte, lasciandosi condurre là dove ella avrebbe potuto guidarla. E così come, quando ancora poliziotta, prima, e detective, poi, ella era arrivata a superare qualunque traguardo per monte ore di straordinari non pagati, con buona pace dei sindacati, spinta in tal senso, in simile direzione, non tanto da un qualunque intento arrivista, così come, chi non la conosceva, ineluttabilmente aveva mormorato avesse a dover essere riconosciuto il suo, quanto e solo per la necessità, fisica e psicologica, di porsi all’opera; a maggior ragione nel ruolo di investigatrice privata, senza superiori, senza stipendio, senza cartellini da dover timbrare, ella non avrebbe potuto spendere il proprio tempo, il resto delle ore di quel pomeriggio, in quieta, indifferente attesa del futuro, e di qualunque futuro avrebbe potuto sopraggiungere a lei, per mezzo della risposta di Lange.
In ciò, dopo aver mobilitato il proprio ex-superiore alla ricerca di qualche ulteriore pista, qualche inatteso sviluppo nel merito del caso Anloch, ancora sullo stesso, ancora nella ricerca del destino di quella giovane, ella non poté ovviare a spendere il proprio pomeriggio, iniziando a compiere ciò per cui i poliziotti avevano da tempo immemore acquisito il soprannome di piedipiatti: iniziò a camminare, e a camminare, in lungo e in largo, per l’intero quartiere sede dello studio della “Y.S.H. Ltd.”, nella volontà di tentare di raccogliere nuove informazioni anche ripercorrendo vecchi tragitti, percorsi da lei già attraversati, nei giorni passati, all’inizio della propria indagine, per cercare di raccogliere qualche ulteriore informazione nel merito della scomparsa, con la speranza di poter scoprire qualcosa di più, soprattutto ora che, ad aiutarla, avrebbe potuto essere quel nuovo punto di vista nel merito del quale spendere le proprie energie.
Non che ella si aspettasse di trovare una qualche straordinaria rivelazione sulla sorte della giovane Anloch, laddove, che ella fosse eterosessuale, bisessuale od omosessuale, francamente non avrebbe certamente mutato le non-testimonianze raccolte nel merito del giorno della sua scomparsa da parte di tutti i commercianti della zona: ciò non di meno, ella sperava che, magari, qualcuno avrebbe potuto concederle aiuto a meglio comprenderne non tanto il presente o il futuro, quanto il suo passato, attraverso il ricordo di un qualche incontro, di una qualche frequentazione, per quanto discreta, per lei sufficientemente abituale tale da poter essere eventualmente associata all’idea di un’amante segreta. Poi, probabilmente, da tanto impegno ciò che avrebbe ottenuto sarebbe stato, semplicemente, un ulteriore appiattimento della propria pianta dei piedi… ma, almeno, ella non avrebbe potuto rimproverarsi di non averci tentato.

Fu entrando in un bar, l’ennesimo di quel pomeriggio, che ebbe a incrociare nuovamente, in maniera non così sorprendente data la sua vicinanza, allora, con la sua sede lavorativa, Keira Agostino, da lei meglio nota come Faccia D’Anatra, una dei tre colleghi di Carsa Anloch ai quali si era presentata la sera prima.
In termini tutt’altro che inediti, dato il soggetto in questione, l’investigatrice ebbe a trovare la giovane impegnata a scorrere foto profilo sul proprio cellulare, tuttavia dimostrandosi lì impegnata in tale attività non con l’entusiasmo che le avrebbe attribuito in maniera pregiudiziosa, quanto e piuttosto con aria decisamente annoiata, distribuendo diversi “Mi piace” senza neppure reale impegno in tal senso, e quasi il suo avesse a doversi considerare pari a un lavoro ancor prima che a una qualche forma di pur discutibile passione. In ciò, quindi, il giudizio precedentemente rivoltole, ebbe a doversi riservare un’opportunità di rivalutazione, laddove, al di là di quanto ella potesse palesemente impegnarsi al solo, evidente scopo di apparire pressoché pari a una sciacquetta di poco conto, anche altro avrebbe avuto a dover essere inteso alla base del suo essere, in termini tali che, forse, probabilmente, quella da lei tanto insistentemente mostrata avrebbe avuto a dover essere giudicata, né più, né meno, qual una maschera. Un sospetto che, invero, la sera prima l’investigatrice aveva avuto su tutti e tre i colleghi di Carsa, e che pur, nel confronto con quanto lì ebbe a osservare, parve trovare quieta conferma.
Conferma ulteriormente rinvigorita, nel proprio valore, dal cambio repentino di atteggiamento che l’altra ebbe a proporre non appena si accorse del suo ingresso nel locale, tornando ad assumere espressioni più forzatamente gioiose e, persino, subito sollevando il proprio cellulare per impegnarsi nell’ennesimo autoscatto.

« Maddie! » ebbe, subito dopo, a salutarla, scuotendo quasi infantilmente la mano, per poi farle cenno di avvicinarsi « Che coincidenza… anche tu qui?! »
« Ciao… Keira, giusto? » domandò, simulando un leggero sforzo a ricordare il nome, onde evitare di apparire eccessivamente confidente con lei, laddove, in fondo, l’aveva conosciuta soltanto la sera precedente, e non da sola « Non me ne parlare: dopo quanto mi avete raccontato ieri sera, sono entrata in crisi ed è ormai tutto il giorno che vago alla ricerca di qualche possibile indizio su che fine possa aver fatto Carsa… » argomentò a giustificazione della propria presenza in quel luogo, in quella che, invero, non avrebbe avuto neppure a doversi considerare completamente una menzogna, giacché, in effetti, ella si era sospinta sino a lì solo alla ricerca di qualche informazione, di qualche pista, e non, di certo, nella volontà di rincontrarla, in quanto, realmente, avrebbe avuto allora a dover essere giudicata qual una mera coincidenza.
« Posso solo immaginare… » annuì l’altra, invitando ad accomodarsi accanto a sé con un cenno della mano « Purtroppo, mi spiace smontare le tue speranze, non credo che qui troverai molto… la polizia ha già interrogato chiunque nei dintorni, spinta dalla medesima aspettativa, purtroppo rimasta insoddisfatta. » le spiegò, ricorrendo, nuovamente, a un tono così volutamente infantile, tanto palesemente artefatto, da non riuscire ad apparire neppur vagamente realistico così come, forse, ella avrebbe voluto risultasse.

L’investigatrice privata, accettando l’invito così rivoltole, ebbe ad accomodarsi accanto all’altra e a ordinare un caffè, giusto per dimostrarsi amichevole nei confronti di quella donna e, in tal senso, riservarsi occasione di dare un senso alla sua permanenza lì dentro, benché, francamente, in quel frangente non avrebbe avuto desiderio alcuno di caffè: una permanenza, quella così ricercata, che avrebbe avuto anche e addirittura a dover cercare riferimento proprio nella medesima Faccia D’Anatra, dal momento in cui, in conseguenza a un tanto marcato impegno nei confronti del mantenimento di quella sceneggiata, ella non avrebbe potuto ovviare a stuzzicare la sua curiosità, nel dubbio nel merito delle ragioni per le quali tutto quel giuoco avrebbe potuto avere un qualunque genere di significato di sorta.
Non che Midda potesse avere motivo alcuno per ritenere tutto ciò, in qualche modo, ricollegato, o ricollegabile, con il proprio caso, benché, parimenti, neppure avrebbe potuto superficialmente banalizzarlo. Semplicemente, spinta dalla propria curiosità nel confronto di un tal comportamento, ella non avrebbe desiderato altro che ottener chiarezza in merito a una così potenzialmente controversa figura, anche e indubbiamente a scagionarla dagli ingiusti pregiudizi che a lei aveva forse frettolosamente associato.

« Tu che mi dici…? » domandò pertanto, dopo aver sorseggiato un po’ di caffè, mantenendosi sul generico e, allor, sospinta soltanto dalla volontà di costringerla a parlare, e di parlare di qualunque cosa, giacché, comunque, più ella avrebbe parlato, più la precedente opinione a suo riguardo avrebbe potuto essere corretta in favore di un giudizio più appropriato « E’ una pausa pranzo ritardata, la tua, o una pausa caffè anticipata…? » sorrise, non volendo apparir animata da un qualche intento di condanna a tal riguardo, qualunque fosse stata la sua replica.

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