11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 31 luglio 2017

RM 211


« Per inciso… accidenti a te, Lavero! » aveva protestato l’investigatrice, tentando di rialzarsi affannosamente da terra nel mentre delle ultime parole pronunciate dalla propria alleata, ad arrestare il suo ex-marito « Era proprio necessario spararmi…?! »
« Sembravi essere uscita di testa, mia cara. » aveva scosso il capo l’altra, mantenendo ben salda la mira in direzione di Desmair, così come avrebbe continuato a fare fino a quando la situazione non fosse realmente conclusa « E ho avuto timore avresti potuto ucciderlo prima che potessimo ottenere quanto utile per incriminare lui e Mal Toise. Comunque sia, è poco più di un colpo di striscio… non ti lamentare. »
« Mi hai visto in faccia?! » aveva obiettato la prima, aggrottando la fronte « Con i colpi di striscio, personalmente, non ho un buon rapporto… » aveva esplicitato, in riferimento alla propria cicatrice.
« Finiamo di arrestare questo bel tipo e sua madre. E poi, se vorrai sporgere denuncia contro di me, potrai considerarti liberissima di farlo… » aveva minimizzato Lavero, stringendosi appena fra le spalle « Del resto, ti sei già procurata una legale. E sono certa che, quel buco, potrà fruttarti un bel po’ di quattrini da parte del governo. » aveva soggiunto, senza particolare ironia, nella consapevolezza di quanto, in fondo, la questione avrebbe avuto le sue ottime ragioni d’essere in tribunale « Per quanto mi riguarda, poi, non ti preoccupare: se mi dovessero degradare e sbattere dietro una scrivania a fare fotocopie, troverò il modo di sopravvivere ugualmente. »
« Non ci penso nemmeno… » aveva tuttavia concluso Midda, riuscendo finalmente a recuperare una posizione eretta, o quasi, nel posizionarsi accanto alla propria alleata innanzi al suo ex-marito « Mi è sufficiente sapere che sei una brava persona e che vuoi fare bene il tuo dovere. » aveva dichiarato, sincera a tal riguardo, non avendo la benché minima intenzione di presentare denuncia per quanto accaduto, laddove, in fondo, avrebbe potuto considerare tutto ciò qual tranquillamente meritato, sia per le sue colpe presenti che a conclusione di tutte le proprie colpe passate « Sai... per un momento ho creduto… no… anzi, ho temuto che il mio piano fosse stato così ben congeniato da aver persino azzeccato l’ipotesi di un tuo coinvolgimento con questo bel tipo. »
« Sfortunatamente per te, ci hai preso, mia cara. » aveva commentato l’altra, estremamente seria, funerea persino, salvo, un attimo dopo, scoppiare a ridere di cuore a tale idea « Scherzo! Scherzo! » aveva rassicurato immediatamente, scuotendo appena il capo.
« Il… tuo piano…?! » aveva ripetuto il demone personale dell’investigatrice privata, nel rendersi conto, malgrado tutto, di essere ormai in trappola e, peggio ancora, di aver compromesso anche sua madre in tutta quella faccenda.
« Ora… a titolo informativo per tutti i presenti: dal momento che un ottimo gruppo di agenti dell’FBI vi ha appena circondato, e che il vostro capo è sotto tiro, tutti coloro che stanno impugnando un’arma, a vario titolo, potrebbero essere così cortesi da appoggiarla delicatamente a terra e alzare le mani dietro la testa?! » aveva dichiarato Lavero, ignorando quell’ultimo intervento del loro prigioniero nel preferire rivolgersi, ad alta voce, a tutta l’assemblea lì riunita « Vorrei sbrigarmi, se possibile. So che qualcuno potrebbe pensare che è ancora presto per essere stanca… ma con tutte le scartoffie che avrò da compilare per questi arresti, non riuscirò ad andare a dormire prima di domani mattina, nel migliore dei casi! »
« Cagne maledette… » aveva ringhiato Desmair, vana minaccia priva di sostanza verso le proprie due antagoniste, contro le quali pur non mosse neppur un passo, là dove non avrebbe avuto piacere a ritrovarsi un buco aperto nel torace, per quanto il calibro scelto dalla propria avversaria avrebbe avuto a dover essere considerato probabilmente nulla più di un 9 mm, Parabellum probabilmente, o della spalla della propria ex-moglie non sarebbe rimasto altro che qualche macchia di sangue lì attorno « Non finisce qui! »
« Potrei sbagliarmi… ma credo proprio che finirà qui per te, grand’uomo. » aveva concluso la vicedirettrice del Bureau, accennando con la canna della propria pistola un movimento verso l’alto « E, per la cronaca, l’invito ad alzare le mani dietro la testa includeva anche te. »

Se la serata di Midda si fosse allor conclusa in tal maniera, probabilmente ella avrebbe potuto ricordare quel giorno qual uno fra i migliori della propria vita, se non il migliore, malgrado il buco nella spalla.
Dopo tre anni nel corso dei quali la sua vita si era trasformata in una bizzarra parodia di purgatorio, in cui il meglio del suo lavoro era consistito nell’incastrare qualche fedifrago con i pantaloni calati, argomenti per i quali difficilmente avrebbe potuto osservare con orgoglio la propria immagine riflessa nello specchio; ella era finalmente stata in grado di concludere qualcosa di vero, qualcosa di concreto, chiudendo, al contempo, anche un ideale cerchio il cui solco, nella propria vita, era drammaticamente iniziato il giorno stesso del suo matrimonio con quell’uomo, lo stesso la cui esistenza, forse, quella sera sarebbe finalmente stata separata dalla propria, permettendola di non vivere più con l’ansia, con l’incubo, di poterselo ritrovare in testa nei momenti meno opportuni. E, a margine di tutto ciò, nel merito di tale successo, di tale risultato, sì conseguito a livello pratico dall’FBI nella propria parte conclusiva, e non di meno fondamentale, ella avrebbe comunque potuto vantare un’assolutamente soddisfacente maternità, nel tributarsi, e nel vedersi tributato, il giusto merito per un piano sì folle, certamente insensato e sconsiderato, che aveva visto praticamente distrutto metà del “Kriarya”, nel venir trivellato da colpi di arma da fuoco, e che aveva messo a rischio la vita di un sacco di persone, ma che, alla fine, aveva condotto all’arresto non solo di un importante malavitoso cittadino ma, ancor più, di una vicedirettrice dello stesso Bureau, la quale, per lunghi anni, aveva tratto illegittimo profitto dal proprio ruolo, nel guidare, in maniera discreta e pur azzeccata, i passi del proprio figlio segreto.
Come se ciò non bastasse, a testimoniare quanto accaduto, non tanto per i posteri, quanto e ancor più per la propria stessa famiglia, ella avrebbe persino potuto vantare l’imprevista, imprevedibile e, invero, neppur desiderata, presenza della propria amata gemella Nissa, la quale non soltanto era uscita del tutto illesa da quel terrificante momento ma, ancor più, avrebbe potuto colmare le lunghe cene in famiglia con il racconto di quanto eroica fosse stata la propria sorellona, con quanto sprezzo del pericolo ella avesse agito e agito contro un simile criminale, per la salvezza sua e di tutti gli altri. E per quanto, sicuramente, loro madre avrebbe alfine trovato ragione per criticarla, per rimproverarla, attribuendole magari, e non del tutto ingiustamente, la responsabilità dell’accaduto, laddove se non fosse stato per lei, Nissa non avrebbe neppure rischiato la vita; quella straordinaria impresa dal sapore epico sarebbe rimasta per sempre associata al suo nome e le sue nipotine non avrebbero più avuto a dover considerare la loro zietta come il ramo miserabile della loro famiglia, quanto e piuttosto qual l’eroina in sola grazia della quale, ancora, avrebbero potuto stringersi alla loro amata mamma.
Inoltre, a margine di tutto ciò, risultato minore della serata e, ciò non di meno forse valevole, per quanto Midda avrebbe avuto a potersi considerare più o meno direttamente responsabile della distruzione di metà del “Kriarya”, ella non avrebbe potuto ignorare quanto, forse, e sottolineando, evidenziando ed enfatizzando mille volte e ancor più quel “forse”, il suo giudizio nel merito di Be’Sihl Ahvn-Qa fosse stato parzialmente gratuito laddove, se pur anche egli, in parte, avrebbe avuto a doversi considerare pericolosamente prossimo al concetto di criminale, agendo arrogantemente in quella sottile linea d’ombra fra la legalità e l’illegalità, ciò non di meno non avrebbe avuto a doversi giudicare, o pregiudicare, completamente qual una cattiva persona. Lungi, in ciò, dal considerarlo il proprio nuovo migliore amico, o dal ritrovarsi a bere in sua compagnia per brindare a quello straordinario successo… ma, in fondo, anche poter spuntare il nome di un altro, in questo caso solo presunto, nemico dalla propria lista di nemesi personali, non avrebbe potuto essere considerato tanto negativo.
A dispetto, tuttavia, di così tanti risultati positivi, la serata di Midda non ebbe a concludersi in quel modo, in quella maniera e, in ciò, quanto di lì a breve l’avrebbe ancora attesa, vedendola giungere alla fatidica Beretta M9 appoggiata dietro alla sua nuca, non avrebbe potuto ovviare a rischiare di vanificare ogni successo sino a quel momento straordinariamente riportato.

domenica 30 luglio 2017

RM 210


Un momento di silenzio non poté ovviare a calare sulla scena a quell’ultima affermazione, mentre il confronto a tre venutosi a creare fra Midda, Desmair e Lavero si volle concedere occasione di trovare una fugace occasione di arresto, utile probabilmente a permettere alla prima di meglio valutare le implicazioni delle ultime rivelazioni concessele, al secondo di decidere come comportarsi, e alla terza di attendere quanto avrebbero alla fine scelto di compiere i propri due interlocutori.
Una situazione di estemporaneo stallo, nel confronto con la quale, alla fine, proprio la vicedirettrice dell’FBI aveva voluto palesare la propria stanchezza nei confronti di ulteriori attese attendere, tornando a impugnare la pistola a due mani e ad avvicinarsi alla donna stesa a terra, per meglio puntare al centro della sua fronte.

« D’accordo… finiamola qui. » aveva annunciato, rivolta a tutti e a nessuno in particolare « Iniziamo a sistemare la tua ex-moglie, poi ci occuperemo di sua sorella e del suo nuovo amichetto speciale. » aveva dichiarato, destinando il proprio programma a Desmair, il quale, ancora, stava apparendo incerto su come porsi a confronto con lei, nel dubbio ad accettare o meno la verità di quanto stava lì dichiarando.

Un gesto, quello che ella si era voluta riservare, sufficientemente forte da scuotere il criminale, il quale, evidentemente, non avrebbe potuto accettare l’idea che un’altra persona si occupasse di quell’affare, di quella situazione in sua vece, trattandosi, comunque, di una vicenda personale, nel confronto con la quale, qualunque conclusione fosse stata necessaria, avrebbe avuto a dover comunque passare da lui.
Così, costretto a prendere in fretta una decisione, ritrovandosi la mano in tal modo forzata dalla pistola puntata alla testa di Midda, una pistola che non avrebbe potuto che apprezzare e, comunque, non avrebbe egualmente potuto ovviare a desiderare qual impugnata dalla sua, di mano; Desmair non aveva potuto ovviare a intervenire, e a intervenire, paradossalmente, nell’intento di sospendere l’esecuzione della propria ex-moglie, colei che lui stesso, soltanto un attimo prima, aveva tentato di uccidere a mani nude…

« Aspetta! » aveva richiesto, con tono serio verso la nuova arrivata « Perché dovresti volerla uccidere…? » le aveva domandato, nell’intento di chiarirsi le idee sulla questione.
« Desmair… per carità divina! » aveva sbuffato nuovamente, e rumorosamente, Lavero, dando evidenza di non sopportare quelle interruzioni « Vuoi davvero che ti faccia un disegnino per riuscire meglio a comprendere cosa sta accadendo?! »
« Se mia madre è davvero stata arrestata, perché non mi hai detto nulla prima? Perché arrivare solo ora a raccontarmi tutte queste cose?! » aveva tentato di argomentare, nel desiderio di comprendere in maniera razionale quanto stesse accadendo.
« Chi…? » aveva domandato l’altra, scuotendo appena il capo, quasi non avesse compreso bene quanto da lui appena scandito, forse in conseguenza del volto distrutto dai terrificanti colpi a lui inferti a opera dell’investigatrice privata.
« Mia madre… Anmel Mal Toise. Hai detto che è stata arrestata sei mesi fa! » aveva ripetuto egli, ora quasi gridando nella frustrazione di quel dialogo, e di quella situazione, nella quale tutto sembrava insistere per porsi al di fuori del suo controllo, in termini che non avrebbero potuto compiacerlo, non nel considerare quanto, altresì, egli apprezzasse poter vantare predominio su quanto a sé circostante, così come il fatto stesso di aver voluto coinvolgere, in quella sera, la figura della propria ex-cognata avrebbe potuto abbastanza chiaramente testimoniare « Perché dirmelo solo ora…? »

A rispondergli, tuttavia e sorprendentemente, aveva voluto essere proprio Midda, la quale, apparentemente incurante della pistola puntata alla sua testa, era apparsa stranamente rinvigorita da quell’ultima dichiarazione dell’ex-marito…

« Forse perché le serviva avere delle prove inconfutabili che collegassero Anmel a te e, soprattutto, entrambi a quanto occorso tre anni fa qui in città, per potervi finalmente arrestare entrambi… » aveva sorriso, scuotendo appena il capo « … stupido idiota. »
E prima che Desmair potesse anche solo finire di elaborare quella frase, Lavero si era già voltata verso di lui, per reindirizzare la canna della Desert Eagle verso il centro del suo massiccio petto: « Desmair Von Kah… come ha già detto lei, puoi considerarti in stato di arresto. » si era riservata occasione di sorridere a propria volta, posticipando la recita del Miranda warning a quando, eventualmente, sarebbe occorso un interrogatorio, desiderosa di concludere quanto prima quell’arresto nella brama di rivolgere in ben altra direzione i propri pensieri « E, per cortesia, non mi costringere a spararti: come credo di aver già adeguatamente dimostrato, questo grilletto è estremamente sensibile… »

La trasmissione del piano comunicato da Midda al vicedirettore del Bureau era stato il primo dei favori domandati dall’investigatrice privata al proprio avvocato. Una strategia indubbiamente azzardata e non priva di fattori di rischio, che non era piaciuta in alcun modo alla stessa Lavero, ma che, ciò non di meno, era rimasto fondamentalmente privo di possibilità di ridiscussione, giacché, nel momento in cui Ja’Nihr lo aveva spiegato a chi di dovere, la strategia dell’ex-detective avrebbe avuto a doversi considerare qual già in atto, in misura tale per cui, ai federali, non sarebbero rimaste molte alternative a disposizione: o avrebbero deciso di prendere parte alla cosa, avendo una forse remota possibilità di ottenere quanto desiderato; o avrebbero deciso di restarne fuori, rinunciando non soltanto a chiudere il caso Mal Toise/Von Kah ma, anche, abbandonando fondamentalmente da sola l’investigatrice privata, la quale, molto probabilmente, avrebbe finito con il farsi ammazzare pur di portare con se, nell’aldilà, anche il proprio ex-marito.
Così, sperando di essere costretta a fare, per l’ultima volta nella propria vita, il proverbiale buon viso a cattivo gioco, in una scelta che, in effetti, l’aveva veduta protagonista sin da quando, un paio di settimane prima, la vicedirettrice Mal Toise si era allontanata dalla sede di New York City per presiedere a una serie di conferenze a Washington D.C., offrendole in tal maniera l’opportunità di tentare di portare avanti con discrezione le proprie personali indagini a suo riguardo, anche e soprattutto attraverso canali non propriamente canonici; Lavero aveva accettato la proposta della propria ultima alleata in quel folle caso, organizzando in fretta e furia una squadra d’assalto e istruendola con attenzione nel merito di quanto sarebbe dovuto accadere e della recita alla quale, necessariamente, anch’ella avrebbe dovuto prendere parte, solo all’ultimo momento, pochi minuti prima del loro ingresso in scena, nel timore, suggerito da parte dell’investigatrice privata per voce della propria avvocatessa, di qualche possibile fuga di notizie.
Un piano, una strategia, quella elaborata dalla donna dagli occhi color ghiaccio, il dettaglio della quale, per la medesima ragione per la quale era stata mantenuta segreta sino all’ultimo persino agli operativi poi lì sopraggiunti in loro soccorso, non era neppure stato condiviso, in effetti, con Be’Sihl. Egli, al di là del proprio coraggioso gesto in favore di Nissa, per il quale Midda mai avrebbe potuto probabilmente riservarsi opportunità di sdebitarsi adeguatamente, sino ad allora non era stato infatti giudicato adeguatamente meritevole di fiducia da parte sua, non, quantomeno, per essere posto a conoscenza di dettagli riservati a livello federale, quali quelli relativi all’indagine in corso sul coinvolgimento di una persona ai massimi livelli del Bureau, la vicedirettrice Anmel Mal Toise, con un mafioso alla stregua di Desmair, nella sola consapevolezza dei quali avrebbe potuto realmente apprezzare quanto, quella sera, sarebbe forse potuto avvenire, in un condizionale sostanzialmente d’obbligo nell’incertezza, della donna, in merito all’effettivo arrivo, o meno, di quei pur sperati rinforzi.
E così, malgrado tanti quesiti ipotetici, malgrado troppe incertezze, nonché malgrado un enorme azzardo, quasi tutto era avvenuto esattamente così come Midda aveva previsto, escludendo da tale annovero soltanto il coinvolgimento della propria amata gemella e, doloroso dettaglio, il proiettile che le aveva attraversato la spalla da parte a parte…

sabato 29 luglio 2017

RM 209


Per un lungo momento, il tempo stesso era parso arrestarsi, nel comporre un diorama a grandezza naturale di quella cruciale scena, ambientata all’ingresso del “Kriarya”.
Sulla cinta più esterna, ad abbracciare, a circondare tutti quanti, avrebbero avuto a dover essere inquadrati degli uomini in tenute paramilitari nere, tutti facenti sfoggio di pesanti giubbotti antiproiettile, caschi in testa e armati di fucili d’assalto Colt M4, contraddistinti da tre grandi lettere bianche stampate sul petto e sul retro della schiena: FBI. Davanti a loro, e alle punte delle loro carabine, avrebbero avuto a dover essere identificati, su metà della scena i tirapiedi al soldo di Be’Sihl Ahvn-Qa, contrapposti, dall’altra parte, agli scagnozzi facenti riferimento a Desmair Von Kah, tutti armati dei più variegati generi di pistole e, ciò non di meno, tutti egualmente incapaci a confrontarsi adeguatamente con l’equipaggiamento proprio dei nuovi giunti. Verso il centro, seppur più spostati verso il fronte Ahvn-Qa, avrebbero avuto a dover essere identificate due figure, lì sdraiate a terra, proiettatesi soltanto pochi istanti prima e, pur, forse lì da sempre, nella più assoluta difficolta a poter effettivamente discernere lo scorrere del tempo dall’inizio della sparatoria a quel momento di stasi: Nissa Ronae Bontor, amministratrice delegata delle “Rogautt Enterprises”, e il medesimo Be’Sihl Ahvn-Qa, proprietario di quel locale, stretto attorno a lei a offrirsi, all’occorrenza, quasi suo scudo umano, unica, possibile protezione per lei da quella terrificante pioggia di piombo. Al centro preciso della scena, infine, tre figure, una maschile e due femminili, avrebbero avuto a dover essere considerate quali le protagoniste di quel momento: Desmair Von Kah, formalmente incensurato e, ciò non di meno, uno degli uomini potenzialmente più pericolosi della costa orientale degli Stati Uniti d’America, colui che, soltanto tre anni prima, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual il vero padrone della città di New York, e colui che, tre anni più tardi, era lì tornato per ristabilire il dominio perduto; Midda Namile Bontor, investigatrice privata, ex-moglie di Desmair e responsabile sia della fine del suo impero, tre anni prima, sia della sua fuga, in tale occasione, nella quieta e omertosa assenza di denuncia che non soltanto aveva rovinato, nei tre anni successivi, la vita della stessa ex-detective della polizia ma, ancor più, aveva permesso il ritorno di quell’uomo in azione, sino a quel momento topico; e, infine, Lavero Ramill, vicedirettrice del Bureau, colei che aveva fatto l’impossibile per assumere Midda e concederle, in tal maniera, una possibilità di redenzione dal suo errore passato e, al contempo, colei che, un attimo prima, aveva freddamente deciso di sparare a una spalla della propria collaboratrice, ponendola inerme ai piedi del suo avversario, della sua nemesi… nemesi accanto alla quale, poi, con assoluta naturalezza si era andata a schierare.

« Certo, mia cara… » aveva scosso il capo la vicedirettrice, in risposta alla domanda postale dalla propria supposta collaboratrice, stringendosi fra le spalle, vestita anche lei con un uniforme d’assalto, per quanto, in quel momento, priva di fucile o casco, nel preferire, evidentemente, la comodità alla sicurezza o, in tal senso, nel fare cieco affidamento sulla valida presenza dei suoi uomini a sua protezione « Non potevo rischiare che, nella foga del momento, tu uccidessi una risorsa tanto importante, qual è Desmair per me. »
« … come…?! » aveva esitato l’investigatrice privata, dando impressione di non comprendere cosa potesse star accadendo.
« E tu… chi saresti?! » aveva domandato, parallelamente, lo stesso Desmair, non riuscendo a cogliere l’identità della propria supposta salvatrice, colei che, frenandolo con la mancina, stava mantenendo la propria destra, armata con una lucente ed enorme IMI Desert Eagle, puntata dritta in direzione della sua ex-moglie, a intimarne la calma.
« Sono il tuo angelo custode fra i federali, stupido idiota. » aveva sbuffato Lavero, alzando per un attimo lo sguardo al cielo con aria contrariata da quell’ultima richiesta « Francamente, dall’uomo che aveva preso il possesso di questa città, e che vorrebbe tornare a prendere il possesso di questa città, mi sarei aspettata un minimo di intelletto in più… »
« Il mio contatto è la vicedirettrice Anmel Mal Toise… e per quante botte in testa io possa aver preso, sono sufficientemente certo che tu non sia lei. » aveva replicato l’uomo, grondando sangue dalla maschera grottesca nella quale era stato trasformato il suo volto dall’assalto dell’investigatrice privata e, ciò non di meno, dimostrandosi sufficientemente padrone di sé da mal tollerare i toni con i quali quella sconosciuta si stava rivolgendo a lui.
« Il mio nome è Lavero Ramill, attuale vicedirettrice. Anmel Mal Toise è stata arrestata sei mesi fa. » aveva pazientemente provato a spiegare l’altra, cercando di sforzarsi di apparire quanto più possibile accomodante nei confronti dell’arrogante incertezza di quell’uomo « Ora prova a indovinare il perché, genio… »
« Non è possibile. » aveva insistito egli, storcendo le labbra verso il basso « Lo saprei, se fosse successo. »
« Vuoi davvero che mi metta a elencarti tutte le informazioni che ti ho passato negli ultimi mesi? Le stesse che ti hanno permesso di ritornare in città e di riiniziare da capo la tua ascesa al potere?! » l’aveva sfidato l’altra, arrivata al limite della sopportazione « O forse credi che una vicedirettrice dell’FBI guiderebbe personalmente un intero esercito di agenti in questo posto solo per venire ad ammazzare la tua ex-moglie prima che possa mandare tutto all’aria? »
« … mi stai vendendo…?! » era esplosa Midda, riprendendo voce in quel discorso dal quale sembrava essere stata esclusa, e facendo atto di levarsi in piedi, salvo essere fermata da un movimento poco rassicurante della pistola già puntata verso di lei « Perché tutta questa farsa dell’assumermi per rintracciare Desmair, se ne sei complice…?! »
« Perché la vicedirettrice Mal Toise ci aveva informato di quanto saresti potuta essere pericolosa… e speravamo di poterti sistemare rapidamente e senza troppo rumore. » aveva risposto secca Lavero, lasciando intendere, in tali parole, quanto lei e i propri uomini fossero non meno corrotti di quella sconosciuta vicedirettrice « Purtroppo questo supposto signore del crimine non è stato neppur capace di sbarazzarsi di te in maniera tranquilla. »
« Ma va al diavolo… » aveva sbottato Desmair, sempre più irritato per il comportamento della nuova giunta « Io non ti conosco, non ho la più pallida idea di chi tu sia o perché tu sia qui. E, se vogliamo dirla tutta, per anni Mal Toise e io siamo stati i veri signori della città… quando probabilmente tu ancora vagavi smarrita per Quantico, cercando di capire chi avresti dovuto portarti a letto per diventare agente federale! » aveva apertamente insultato la sua supposta complice, troppo confuso, troppo arrabbiato, per tutto quanto successo sino a quel momento, per potersi permettere un vero controllo su di sé o sulle proprie azioni.
« Ma fammi il piacere… » non aveva potuto ovviare a sghignazzare la sua ex-moglie, probabilmente a sua volta così provata dal non riuscire neppure a valutare obiettivamente la gravità della situazione, nel perdere, in tal maniera, tempo ed energie su argomenti del tutto ininfluenti « Adesso vorresti farmi credere di essere stato alleato con un federale corrotto?! Ma se mi hai sposata soltanto per avere accesso, attraverso di me, alle risorse del dipartimento…? Abbi un po’ di pudore e stai zitto, Desmair… »
« Stai zitta tu, lurida cagna. » aveva reagito l’uomo, quasi ringhiandole contro, e spuntando sangue insieme alla rabbia di quelle parole « Credi veramente che avrei potuto creare tutto quello che ho creato con le inutili informazioni che avrei potuto sottrarti?! Il nostro matrimonio era stato deciso da Mal Toise, la quale, se solo tu non avessi creato tanto baccano, ti avrebbe usata come diversivo nel momento in cui le acque si fossero potute agitare troppo, scaricando su di te la responsabilità di ogni cosa e restandone pulita. » aveva esplicitato, reinterpretando sotto una diversa luce la verità o, per lo meno, quanto noto qual verità, sino a quel momento, dall’investigatrice privata « Perché credi che, alla fine, io abbia accettato di andarmene? Soltanto perché Mal Toise lo aveva deciso… e non perché le tue stupide minacce avrebbero potuto in qualche modo impressionarmi! »
« Un vero genio questa Mal Toise… » aveva commentato Midda, storcendo le labbra verso il basso « E tanta ammirazione, da parte tua, mi commuove. Evidentemente a letto deve essere più brava di me. »
« Su quest’ultimo dettaglio non posso esprimere giudizi… » era intervenuta nuovamente Lavero, sorridendo divertita da quell’ultimo commento, quasi animato da una certa gelosia da parte dell’ex-moglie nei confronti del proprio ex-marito « Ma, voglio sperare che lui non ne sappia nulla, considerando che è sua madre. »

venerdì 28 luglio 2017

RM 208


La violenza devastante che i due ex-sposi non avevano voluto mancare a dedicarsi avrebbe avuto a doversi considerare ben oltre i confini propri dell’epica. Non più due esseri umani, quanto e piuttosto due ferine bestie, due primordiali e feroci creature prive d’ogni razionalità al di fuori del proprio istinto, Midda e Desmair avevano avuto occasione di confrontarsi, sull’ingresso del “Kriarya”, nonché nel cuore di quella sparatoria, senza esclusione di colpi.
L’investigatrice privata, che per prima di era avventata sul proprio ex-marito, aveva riversato contro al suo volto una straordinaria sequenza apparentemente incessante di pugni, non rallentandosi, né tantomeno moderandosi, neppure nel momento in cui le nocche delle sue mani iniziarono a tingersi di rosso, e di rosso non soltanto per il sangue del proprio avversario ma, forse e ancor più, per il proprio: per quanto, infatti, da pugile, ella avrebbe dovuto essere perfettamente consapevole che il solo risultato che avrebbe potuto conseguire colpendo a mani nude, con tale impeto, il viso di qualcuno sarebbe stato, con buona probabilità, spaccarsi le complesse ossa delle mani; ella non aveva voluto offrire la benché minima riprova di interessarsi a ciò, al contrario imponendo a ogni proprio nuovo colpo maggiore energia rispetto al precedente, nel solo, assurdo intento di riuscire a sfondargli il cranio e, in ciò, concludere in maniera tanto brutale ogni ulteriore possibilità di minaccia da parte di quell’uomo, a suo avviso spintosi troppo oltre… e oltre non più soltanto verso di lei, ma, ancor peggio, verso la sua famiglia. Quel micidiale assalto, che forse avrebbe avuto a doversi riconoscere qual durato pochi istanti, o che forse avrebbe avuto a dover essere considerato di lunghe ore, interminabili giorni, aveva avuto a concludersi solo nel momento in cui, ripresosi dalla sorpresa per quel gesto del tutto inatteso, imprevisto e, forse, persino imprevedibile, Desmair aveva sollevato le proprie possenti mani ad afferrare, per i fianchi, la propria ex-moglie, staccandola da sé quasi fosse un animale selvatico piombatogli addosso e, senza alcuna delicatezza, sbattendola impietosamente al suolo, per poi, prima che ella potesse anche solo comprendere cosa fosse accaduto, iniziare a colpirla, con terrificanti calci.
L’enorme piede destro del criminale, in ciò, aveva iniziato ad abbattersi ripetutamente contro i fianchi, l’addome e la schiena della propria ex-moglie, non bramando riconoscerle maggiore considerazione rispetto a quanto ella non si era precedentemente impegnata a concederli, nel trasformare il suo viso in un ammasso di tumefazione e di sangue, una maschera rossa che, se solo fosse stata completata da due grandi corna bianche ai lati del suo capo, avrebbe potuto certamente completare in maniera squisitamente azzeccata l’immagine di un terrificante demone dell’inferno, qual, nella psiche della sua avversaria, avrebbe avuto a dover essere considerato già da tre anni. I suoi calci, animati da una rabbia animalesca, da una furia disumana che prima non avrebbe potuto neppur essere immaginata in associazione all’immagine pur elegante, quasi sofisticata, dell’uomo presentatosi sulla soglia del “Kriayra”, si erano così impegnati al solo scopo di spezzare le sue costole, sfondare le sue vertebre, accecato, in tal senso, dal dolore fisico impostogli, il quale, nella sorpresa del momento, non doveva averlo trovato così indifferente qual avrebbe forse preferito potersi considerare. E se Midda sopravvisse a tutto ciò, alla devastazione impostale da tanto folle pestaggio, sicuramente il merito avrebbe avuto a riconoscersi, e a indirizzarsi, insieme a tutta la sua gratitudine, soltanto in direzione di colui che tanto, in quegli ultimi anni, l’aveva dolcemente amata ma, anche, severamente allenata, insegnandole non soltanto a colpire ma, anche e nell’eventualità più sventurata, a farsi colpire, nella consapevolezza di quanto, per citare il meraviglioso monologo rivolto al figlio nel sesto film dell’immortale saga di Rocky Balboa, “non è importante come colpisci, l'importante è come sai resistere ai colpi, come incassi e se finisci al tappeto hai la forza di rialzarti... così sei un vincente!”. Animata da tale consapevolezza, e preparata a tutto quello già da tempo, la donna non aveva potuto pertanto perdersi d’animo né permettersi di soccombere all’irruenza di quell’aggressione che pur, probabilmente, avrebbe avuto la meglio su chiunque altro e, aspettando il momento opportuno, ella era stata in grado di capovolgere completamente la situazione di nuovo a proprio vantaggio non soltanto sfuggendo al destro diretto verso di lei ma, addirittura, andando a ruotare, al suolo, attorno a lui solo per poter colpire, con tutte le proprie energie, con tutta la forza dei propri piedi, il retro del suo ginocchio sinistro, costringendolo, in tal maniera, a piegarsi e a farlo crollare a terra sotto l’effetto del proprio stesso peso.
Quasi altro non fosse che il proverbiale gigante con le caviglie d’argilla, anzi, in quel caso specifico con le ginocchia d’argilla, Desmair non aveva potuto ovviare a rovinare violentemente al suolo, esponendosi, di conseguenza tanto del volo, quanto del violento arrivo a destinazione, nel confronto con una nuova raffica di attacchi da parte dell’ex-detective, la quale, alle ragioni che già avrebbero potuto fomentarne la violenza nei suoi confronti, avrebbe potuto ora addurre anche un istintivo desiderio di vendetta per i calci subiti, i colpi che aveva dovuto incassare e che, pur essendosi dimostrata in grado di gestire, certamente non avrebbero avuto a potersi considerare privi di dolorose conseguenze a suo discapito. Gettatasi, pertanto, letteralmente sopra il corpo del proprio antagonista, bloccandone la gola con il proprio ginocchio destro e gravando sul suo diaframma con il sinistro, ella aveva ripreso ad avventarsi a discapito del suo viso ancora a mani nude, con il solo intento di riuscire a cavargli il cervello dalle orbite degli occhi a forza di pugni. Tuttavia, per quanto, sino a quel momento, la sparatoria fosse stata da entrambi serenamente ignorata, un proiettile, forse volutamente a lei indirizzato, forse vagante, impossibile persino identificarne l’origine nel cuore della battaglia là dove entrambi si stavano ponendo essere, era stato in grado di raggiungerla nel mentre dell’ennesimo attacco a discapito dell’uomo, prendendola alla spalla destra e attraversandone le carni da parte a parte, in un impatto, in una violenza, che non poterono ovviare a sbalzarla di qualche pollice indietro rispetto alla propria posizione, facendola necessariamente gridare per il dolore e la sorpresa conseguenti a tutto ciò. Un’esitazione, quella pertanto impostale, che aveva consentito allora al suo nemico, al suo demone dal volto sempre più rosso e tumefatto, di riprendersi, e di riprendersi con foga tale da catapultarla, letteralmente, via da sé, solo per poi alzarsi in piedi, non senza un certo impegno, e dirigersi nuovamente in suo contrasto, di gran carriera, desideroso, allora, soltanto di chiudere la questione quanto prima: con lei, con sua sorella e, magari, con qualunque altro membro della famiglia Bontor, il legarsi alla quale, a posteriori, si era ampiamente dimostrato un pessimo errore di valutazione da parte sua.
Necessariamente intontito tuttavia dai colpi ricevuti, tuttavia, quanto Desmair non aveva lì avuto occasione di cogliere, avvertendo soltanto il rimbombo del proprio cuore all’interno del cranio, nel sangue pulsato violentemente verso il cervello a caricarne maggiormente l’enfasi, avrebbe avuto a dover essere considerato un improvvisa calma, un improvviso silenzio occorso quasi in immediata conseguenza al proiettile che aveva preso direttamente la donna, e che, con il senno di poi, non avrebbe avuto a dover essere giudicato casuale, quanto e piuttosto estremo tentativo di arginare la violenza disumana da lei riversata a suo discapito. Un silenzio, quello che era lì piombato, tutt’altro che casuale, tutt’altro che fine a se stesso, e, invero, conseguenza della sopraggiunta presenza, all’interno di quella battaglia, di un’altra serie di giocatori, che, in maniera inattesa, avevano circondato entrambe le prime squadre imponendosi, nella superiorità del proprio equipaggiamento e del proprio numero, al di sopra di tutti i presenti. E, in quel silenzio, in quella ritrovata pace accompagnata da una ben chiara richiesta di resa a tutti coloro che lì avrebbero avuto a doversi riconoscere coinvolti, l’artefice del colpo che aveva attraversato la spalla destra dell’investigatrice privata si era già fatta avanti per rivendicare il proprio gesto, quando, rendendosi conto che, allora, avrebbe avuto a dover essere giudicato proprio l’uomo quello incapace a frenarsi, si era ritrovata costretta ad avanzare in sua direzione, per porre una mano al centro del suo enorme petto a domandargli di arrestarsi.

E per quanto, in tal frangente, Midda avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual necessariamente disorientata dal violento dolore imposto alla sua spalla, ciò non di meno, nel riconoscere la figura lì sopraggiunta con la pistola in mano, non aveva potuto ovviare a sgranare gli occhi, ringhiandole contro tutto il proprio disappunto: « … sei stata tu a spararmi?! »

giovedì 27 luglio 2017

RM 207


In maniera del tutto inattesa, in quella situazione nella quale purtroppo i giochi sembravano ormai fatti e sembravano ormai fatti in favore di Desmair, a prendere tuttavia il controllo era stato il padrone di casa, il proprietario del “Kriarya”, Be’Sihl Ahvn-Qa.
Egli, rimasto sino a quel momento in quieta, ma non passiva, contemplazione degli accadimenti, aveva voluto votare, allora, in favore di una soluzione indubbiamente pericolosa, e che pur, malgrado l’indubbio azzardo, soprattutto per la propria stessa salute, avrebbe potuto essere risolutiva del temibile stallo nel quale, dall’apparizione di quello sgradito, e pur atteso, ospite, tutti loro erano repentinamente caduti. Così, nel mentre in cui Midda si era voltata verso di lui, e verso Nissa, per far strada al proprio ex-marito all’interno del locale, Be’Sihl le aveva concesso soltanto una fugace occhiata, un rapido sguardo d’intesa volto a definire, tacitamente, quanto sarebbe successo. E per quanto, l’uno e l’altra non avrebbero mai potuto considerarsi effettivamente amici, non avrebbero mai potuto vantare alcun particolare legame tale da giustificare una tanto profonda complicità, quella fugace comunione aveva avuto a dimostrarsi più che sufficiente a permettere anche all’investigatrice privata di comprendere quanto sarebbe accaduto un attimo prima che ciò avvenisse, per potersi permettere di reagire di conseguenza e non sprecare quella che, forse, sarebbe stata allora la loro unica occasione in tal senso.
A posteriori, in verità, per la donna dagli occhi color ghiaccio la questione avrebbe avuto a dover essere intesa in termini ben diversi da quelli che, allora, in suo complice ebbe a interpretare, nel non riconoscere al proprietario del “Kriarya” alcun merito per quell’iniziativa se non, in verità, quello di essere riuscito a cogliere quanto ella, in un singolo sguardo, aveva cercato di trasmettergli, di imporgli, reagendo, al momento opportuno esattamente così come ella aveva richiesto. Questione, quella, che sarebbe stata obiettivamente complessa da dirimere nelle proprie effettive origini e che, forse e paradossalmente, avrebbe dovuto veder riconosciuto, semplicemente, ad entrambi il merito di aver avuto la stessa idea nello stesso momento, in una dimostrazione, ciò non di meno, di un indubbio sincronismo mentale fra loro. Questione, tuttavia, la paternità o maternità della quale, non avrebbe potuto avere a posteriori particolare significato, al di fuori di quello atto a garantire a entrambi nuove ragioni utili per battibeccare, per proseguire nella propria improbabile amicizia, o inimicizia che fosse.
L’unica verità, la sola allor importante, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta quella di un’intesa fra i due… un’intesa forse inaspettata, un’intesa forse innaturale, e ciò non di meno un’intesa, che aveva garantito quanto, di lì a un istante, avvenne.
Nessun manganello telescopico, nessun tirapugni: alcuna arma, in quelle eleganti vesti, avrebbe potuto contraddistinguere Midda Bontor e, malgrado ciò, e malgrado una mole di poco più di un terzo rispetto a quella del proprio ex-sposo, alcun freno l’aveva trattenuta, fisicamente o psicologicamente, da rigirarsi nuovamente, e improvvisamente, in direzione di Desmair Von Kah, per avventarsi su di lui, non in un semplice movimento, ma in un vero e proprio salto, un balzo che l’aveva vista proiettarsi dalla propria posizione precedente, sino al suo busto, al suo collo, al suo viso, contro il quale ebbe ad abbattersi con devastante violenza, in un primo colpo, subito seguito da molti altri, non più destinato semplicemente a imporre fugace dolore, mera pena, quanto, e speranzosamente, ad abbatterlo, e ad abbatterlo non nel più nobile degli intendimenti, qual un regolare knock-out, quanto e piuttosto nella più feroce e devastante declinazione, non diversamente dal desiderio di un predatore nei confronti della propria preda.
Un gesto azzardato, una ribellione inconsulta, un attacco sconsiderato, quello che ella aveva voluto lì riservarsi, che avrebbe potuto essere considerato in totale, e folle, contrasto con ogni timore precedente, ogni avviso pur riservatole da parte del proprio antagonista nel merito del triste fato che avrebbe potuto attendere la sua amata sorella in conseguenza di una simile scelta; e che pur, allora, avrebbe potuto essere giustificato da quanto, contemporaneamente, aveva trovato Be’Sihl Ahvn-Qa qual protagonista, in una reazione non meno repentina rispetto a quella della propria alleata, in un movimento non meno rapido e deciso rispetto a quello di lei e che, allora, non lo aveva veduto avventarsi su qualcuno animato da intenti aggressivi, quanto e piuttosto da volontà difensive, dal più strenuo desiderio di protezione, e di protezione per colei che, allora, forse neppure l’avrebbe desiderata, l’avrebbe voluto, qual degna gemella di sua sorella. Ciò non di meno, tale gesto non aveva mancato di coinvolgere Nissa Bontor, nel vederla racchiusa improvvisamente in un saldo abbraccio e, un istante dopo, sollevata di peso, tratta all’indietro e, ancor più, proiettata a terra, con disteso, sopra di lei, qual scudo umano, lo stesso supposto criminale che tanta avversione si era sempre veduto destinare da parte dell’investigatrice privata e che, ciò non di meno, in tutto quello ebbe ad agire soltanto sospinto dal più sincero desiderio di salvaguardia a sua tutela, a proteggerla, in simile maniera, da qualunque possibile proiettile esploso da un qualunque scagnozzo lì presente, in solerte ottemperanza agli ordini ricevuti.
Così, quando di lì a un attimo dopo tutta la situazione era finita col degenerare, esplodendo nella violenza di una vera e propria guerra, colei che sola, in quel contesto, avrebbe potuto vantare un qualche valore agli occhi di chi, nel bene o nel male, condottiera di quella battaglia, promotrice di quanto avvenne, non avrebbe potuto avere più alcun pensiero, alcuna incertezza, su come agire, nell’aver a considerare, estemporaneamente, la propria gemella comunque in salvo, e nel potersi quindi concentrare solo e un’unicamente sull’estirpare una gramigna di nome Desmair dalla propria vita, dalla propria quotidianità, là dove, evidentemente, a tal ruolo, egli avrebbe avuto a doversi considerare probabilmente affezionato.

La guerra che nel “Kriarya” aveva quindi avuto a esplodere, a contorno di tutto ciò, non avrebbe avuto a poter essere sminuita in alcun altro termine, laddove, con due simili eserciti già schierati, con gli uomini di Desmair su un fronte, e quelli di Be’Sihl sul fronte opposto, ben poco fu necessario per estrarre le armi e iniziare a detonare una sequenza apparentemente infinita di colpi di pistola, destinati, in maniera non propriamente sofisticata, a eliminare fisicamente e rapidamente qualunque antagonista, su un fronte o sull’altro. E per quanto, quello, avrebbe avuto a doversi considerare il centro di una delle più importanti città degli Stati Uniti d’America, improvvisamente, in quanto avvenne, tutto non avrebbe potuto che apparire qual improvvisamente, follemente catapultato in un altro luogo o in un’altra epoca, su un campo di battaglia, e di guerra di trincea, così come, in quella pioggia di proiettili non avrebbe potuto ovviare a essere considerata.
Incredibile, in tal senso, avrebbe avuto a doversi considerare la mutevole percezione dello scorrere del tempo nel confronto con un tale contesto, con un simile scenario: là dove, nel ritrovarsi similmente bombardati da confetti di piombo, facile sarebbe stato ipotizzare una sensibilità violentemente rallentata, in misura tale da far trascorrere intere ore in pochi minuti, e pochi minuti in un fugace battito di ciglia, con tutte le conseguenze annesse e connesse; quanto era stato imposto all’attenzione di Be’Sihl e di Nissa, lì inermi al centro di tale conflitto, avrebbe avuto a dover essere considerato, al contrario, qual riprova di una sensibilità incredibilmente accelerata, e tale da veder percepite intere ore in luogo a pochi, fugaci secondi, quasi a ogni nuovo colpo di pistola il tempo stesso rallentasse ancor un po’ di più, nella terrificante attesa di sapere se e quando uno qualunque fra quei proiettili vaganti avrebbe finito con il colpire uno di loro o, anche, Midda o Desmair, intenti a combattere, in tutto ciò, al centro di tanto delirante teatro di guerra. E se già per Be’Sihl e Nissa quanto stava accadendo attorno a loro non avrebbe potuto ovviare a risultare qual straordinariamente al rallentatore, per i due ex-sposi tutto quello non avrebbe potuto che apparire simile a un’assurda scena degna di uno scherzo televisivo, ancor prima che di una reale battaglia, giacché, non soltanto nell’enfasi dello scontro a fuoco attorno a loro, ma ancor più nell’adrenalina che ineluttabilmente non avrebbe potuto ovviare a investirli e dominarli nel corso del loro stesso scontro; il mondo intero, attorno a loro, non avrebbe potuto che apparire tanto rallentato da risultar, addirittura, immobile, quasi come sé le loro stesse esistenze fossero state estemporaneamente estrapolate da quel medesimo piano di realtà, da quella comune dimensione, per essere poste su un piano parallelo, parallelo e straordinariamente più rapido, nelle proprie possibili evoluzioni, rispetto a quello nel quale, pur, un istante prima avrebbero avuto a doversi entrambi riconoscere.

mercoledì 26 luglio 2017

RM 206


« Non osare toccarmi. » aveva intimato ella, arrestando, con un gesto secco della propria mancina, l’ascesa della sua destra verso il proprio viso, allontanandola da sé « O io… »
« O tu… cosa? » le aveva domandato l’ex-marito, scuotendo appena il capo « Dovresti saperlo, mia cara, che una frase del genere può avere qualche valore soltanto nel momento in cui, alla minaccia, può seguire l’azione: in caso contrario, mi spiace evidenziare l’ovvio, sono soltanto parole vuote al vento. » le aveva voluto ricordare, sorridendo serenamente, nel riabbassare comunque la mano e nel sollevare lo sguardo da lei alla sua gemella, lì accanto « E, in questo momento, mi sento sufficientemente sicuro del fatto che non oserai rischiare di mettere in pericolo la vita della sua amata sorellina… »

Sgradevole a dirsi, l’investigatrice privata non avrebbe potuto smentire Desmair in quel frangente, in quella situazione. Al di là del locale già decisamente affollato attorno a loro, al di là di tutti i piani d’azione concordati con chiunque, al di là del proprio odio per quell’uomo, Midda non avrebbe mai potuto agire in termini tali da poter mettere in dubbio la salute o, peggio ancora, la sopravvivenza della propria gemella: per Nissa avrebbe potuto morire, per Nissa avrebbe potuto vivere, per Nissa avrebbe potuto uccidere… ma mai sarebbe stata disposta a permettere a se stessa, o a chiunque altro, di rovinare la splendida, perfetta vita che la propria metà migliore era stata tanto abile a costruire, a realizzare, con la propria passione, con il proprio talento e, ancor più, con il proprio impegno.
Al di là di qualunque battuta su santa Nissa, al di là di qualunque difficoltà a relazionarsi con la supposta perfezione della propria gemella per così come, soprattutto, enfatizzata da loro madre, al di là di ogni cosa, Midda amava Nissa, l’aveva amata da sempre, l’avrebbe amata per sempre, e, soprattutto, Midda ammirava Nissa, e la ammirava amandola, e la amava ammirandola. Nissa, ai suoi occhi, innanzi al suo giudizio più intimo, in fondo, incarnava la concreta realizzazione, la riprova pratica, di tutto ciò che ella avrebbe mai potuto essere; in un esempio che, pur nella consapevolezza di quanto mai tale ella sarebbe potuta divenire, non avrebbe potuto ovviare a rinfrancarla, a rincuorarla, anche nei momenti peggiori, anche di fronte alle derive più spiacevoli e più oscure della propria quotidianità. In ciò, l’ammirazione di Midda per la propria gemella non avrebbe mai potuto sfociare in un qualunque sentimento di gelosia, di invidia, in quanto Nissa, al suo sguardo, non si era mai limitata a dimostrarle quanto ella non avrebbe mai potuto avere ma, piuttosto, l’aveva vissuto anche per lei: la sua carriera, il suo matrimonio, le sue figlie, tutti traguardi straordinari che dall’una erano stati con apparente facilità raggiunti, avrebbero allora avuto a dover essere considerati qual vissuti, indirettamente, anche dall’altra, in uno straordinario completamento reciproco innanzi al quale sol devastante avrebbe avuto a doversi considerare la mera ipotesi della prematura scomparsa dell’una forse e ancor più che dell’altra.
E Desmair Von Kan, idiota ella a non averci pensato, a non averlo previsto, non avrebbe ignorato l’evidenza di una tale situazione, e di un tanto favorevole vantaggio, non laddove, quantomeno, avesse avuto interesse a non consegnarsi gratuitamente nelle mani della propria antagonista, rispettando docilmente qualunque strategia ella avrebbe potuto elaborare. Un desiderio che non avrebbe mai potuto appartenergli. Un desiderio l’assenza del quale ebbe a essere condivisa fra tutti i presenti nella mera presenza di Nissa, di colei, che in tutto ciò, avrebbe potuto rappresentare il suo personale salvacondotto.
Neppur verbalmente, pertanto, l’ex-detective della polizia della città di New York cercò di reagire a quella tutt’altro che velata minaccia, suo malgrado allor incapace di formulare qualunque risposta, o ipotesi di risposta, nel confronto con tutto ciò; in un silenzio, in un’immobilità che, più di mille parole, più di qualunque possibile azione, avrebbe potuto lì testimoniare l’evidenza dello spiacevole stallo nel quale era stata precipitata da parte dei quell’osceno demone emerso direttamente dai propri incubi peggiori.

« Meraviglioso… » aveva osservato Desmair, sollevando appena la punta del proprio indice a sottintendere proprio quella quiete, proprio quel silenzio, che non avrebbe potuto né ignorare, né disapprovare, dopo tutta l’arroganza con la quale, già, egli era stato lì accolto « Questo è proprio ciò che speravo di sentire: la silenziosa armonia della tua sconfitta. » aveva sottolineato, sorridendo « Non trovi quanto la nostra quotidianità sia già sufficientemente caotica al punto tale da farci dimenticare quanto semplicemente estasiante possa essere il suono del silenzio…? »
« Simon e Garfunkel non sarebbero d’accordo con te. » non era riuscita a trattenersi dal commentare Midda, scuotendo appena il capo innanzi alla sorprendente banalità da lui appena pronunciata, nell’unico interesse, nell’unica volontà di offrirsi un certo contegno.
« Punti di vista… » aveva minimizzato egli, perdonandole quell’intromissione, troppo lieto per tutta la situazione così venutasi a creare per concedersi ragione di infierire ancora su di lei, almeno per il momento « Allora… vogliamo andare ad accomodarci da qualche parte, per parlare un po’ così come, con squisita cortesia, hai fatto presente di voler fare ai miei collaboratori? » aveva soggiunto, lasciando voluta ambiguità, nell’uso della prima persona plurale, nel merito dell’effettiva ampiezza di tal soggetto, che avrebbe potuto includere soltanto lui e la propria ex-moglie, oppure loro due, Nissa e Be’Sihl, oppure, e ancora, loro quattro e tutti gli altri uomini una parte dei quali già aveva fatto la propria comparsa all’interno del locale immediatamente insieme a lui, nel non aver voluto dimostrarsi ovviamente tanto sprovveduto dal presentarsi solo a quella che, altrimenti, sarebbe stata la propria ultima serata di libertà… o di vita.

Lo sguardo di Midda, in ciò, non aveva potuto ovviare a iniziare a censire gli scagnozzi della serata, diversi come volti, ma non come corporature, rispetto a quelli del pomeriggio, per identificarli e per cercare di valutarne la pericolosità, anche e soprattutto nel confronto con il piano ipotizzato.
E Desmair, ancora una volta intuendone alla perfezione i pensieri, quasi fosse nella sua testa, l’aveva voluta immediatamente rasserenare, per quanto, ineluttabilmente, a modo proprio.

« Non far caso ai miei amici… » l’aveva invitata, scrollando appena le spalle « Se ti può aiutare, hanno ricevuto l’ordine di non far danno alcuno al locale, anche perché sarebbe veramente spiacevole, per me, rilevare il “Kriarya” in condizioni meno che perfette. » aveva commentato, in una frase che, all’attenzione di Be’Sihl, ovviamente, non poté apparire particolarmente confortante, nella dimostrazione di un mutato interesse da parte del loro antagonista, or interessato, addirittura, a impossessarsi della sua creazione « Li ho portati con me soltanto per piazzare un proiettile in testa alla tua amata sorellina, nel momento in cui, tu, lei, il tuo nuovo fidanzato o chiunque al suo servizio, poteste decidere di fare qualche idiozia cercando di aggredirmi. » aveva proseguito, risultando, a ogni parola, ovviamente meno rassicurante, or nel direzionare in maniera tanto puntuale, tanto precisa, la propria minaccia verso un solo obiettivo, e un obiettivo chiamato Nissa Bontor.

E se anche, a quelle parole, la prima reazione dell’investigatrice privata avrebbe avuto a poter essere ipotizzata quella volta a saltare letteralmente alla gola del proprio ex-marito per strappargli la giugulare con i denti, ove necessario, totalmente priva, a quel punto, di qualunque umana moderazione, di qualunque desiderio di rispetto delle regole, della legge, e animata soltanto dal ferino desiderio di grondare del sangue di colui che tali parole di minaccia stava rivolgendo a discapito della propria gemella; la consapevolezza che mai, allora, se anche avesse condotto a termine tale azione il solo risultato che avrebbe ottenuto sarebbe stato quello di dover piangere la perdita della propria sorellina, la trattenne da qualunque imprudenza, rendendola, obiettivamente, sua schiava…

« Accomodiamoci… » aveva quindi sussurrato, risultando, suo malgrado, sconfitta sotto ogni punto di vista.

martedì 25 luglio 2017

RM 205


« Desmair… »

Il demone personale dell’investigatrice privata era giunto lì, un istante dopo l’arrivo di Nissa, con un tempismo, con una puntualità, che alcun equivoco avrebbe potuto perdonare nel merito né delle ragioni della presenza della stessa amministratrice delegata delle “Rogautt Enterprises”, mai invitata a quella pericolosa serata da parte della sorella così come, altresì, era convinta fosse accaduto, né, parimenti, del coinvolgimento del medesimo criminale in tutto ciò, per così come Midda aveva intuito e, subito, temuto. Un demone, quello della donna dagli occhi color ghiaccio, che, nella fattispecie di quel particolare contesto, aveva assunto delle vesti indubbiamente eleganti, idonee alla serata alla quale era stato, altresì, esplicitamente convocato da parte della propria ex-moglie, quasi fosse sua intenzione non sfigurare all’interno dell’elegante ambiente del “Kriarya”.
In ciò, quella sera, Desmair si era premurato di apparire rivestito con uno splendido completo cucito su misura per lui, composto da camicia grigio scura, una cravatta bianca, nonché giacca e pantaloni neri, accompagnati, a margine di tutto ciò, da un non meno elegante soprabito bianco, lasciato appoggiato sulle spalle in uno stile estremamente retrò e che, ciò non di meno, egli era sempre stato capace di sfoggiare con straordinaria maestria, indubbio carisma, elemento che, allor spiacevole a evidenziarsi, non era mai stato ignorato da parte di Midda, la quale, anzi, avrebbe avuto a dovergli riconoscere, malgrado tutto, quella qual una delle sue caratteristiche migliori. Caratteristica, in effetti, tutt’altro che banale, tutt’altro che ovvia, anche nel considerare le misure proprie di quell’uomo, di quell’individuo, nella colossale stazza del quale improbabile sarebbe stata l’idea di una qualunque guardia del corpo, laddove, invero, anche i nerboruti scagnozzi da lui inviati quella mattina a esigere il giusto pagamento da Be’Sihl Ahvn-Qa, avrebbero potuto risultare impropriamente deperiti al suo confronto.
Alto più di sei piedi, per un peso di oltre duecentosessanta libbre, distribuite in un corpo scolpito nel bronzo, Desmair Von Kah avrebbe avuto a dover essere considerato uno degli uomini più possenti che Midda Bontor avesse avuto occasione di conoscere in tutta la sua vita, al confronto con il quale persino il fisico straordinario di Ma’Vret avrebbe avuto difficoltà a rivaleggiare. Con un volto affilato nelle proprie forme, quasi spigoloso in zigomi alti e un mento sì squadrato, ma anche insolitamente appuntito, non avrebbe potuto essere giudicato indiscutibilmente bello, benché, altresì, i propri occhi verdi sopra una carnagione scura avrebbero altrettanto indiscutibilmente suggerito un certo fascino, fascino che, in verità, egli non aveva mai mancato di sfruttare e di enfatizzare con modi squisitamente ricercati e, ciò non di meno, mai arroganti, mai caratterizzati da un qualche senso di superiorità, nel quale, un omaccione suo pari, avrebbe potuto altresì facilmente scadere. I capelli, a contorno di ciò, un tempo di un castano scuro, quasi tendente al nero, avrebbero avuto a dover essere riconosciuti ormai insidiati ampiamente da venature di bianco in quantità indubbiamente superiori a quelle che la sua ex-moglie avrebbe potuto testimoniare di conoscere, nel mentre in cui, al taglio lungo di un tempo, che avrebbe visto tale chioma scendere quasi sino a metà schiena, in quella sera, in quel ritorno, era stato scelto un più comodo taglio vagamente militare, e atto a non lasciare omogeneamente più di mezzo centimetro di capelli, in un tentativo forse volto a minimizzare l’evidenza altresì lampante di quelle canuta deriva conseguente a un’età ormai non più fanciullesca. Perfettamente bianchi, straordinariamente curati, fra le sue sottili labbra, apparvero infine i suoi denti, nel mentre in cui egli offrì agli astanti un amplio sorriso compiaciuto, quieta risposta ai loro sguardi…

« Desmair…?! » aveva ripetuto Nissa, voltandosi alle proprie spalle e scorgendo immediatamente il colosso appena materializzatosi all’ingresso del “Kriarya”, in esso riconoscendo necessariamente l’ex-cognato e, soprattutto, l’uomo responsabile di tutta la sofferenza della propria gemella « Che ci fa qui lui…?! » aveva domandato, sorpresa, sconvolta dal rivederlo in città laddove, per anni, sua sorella l’aveva rassicurata del fatto che mai sarebbe tornato, senza ancora comprendere, senza ancora cogliere, almeno per un primo istante, l’evidente collegamento fra quella presenza e la reazione di panico appena dimostrata dalla stessa Midda, nel vederla sopraggiungere nel locale e, in ciò, nel chiederne un rapido allontanamento.

Un semplice sguardo, e nulla più, da parte della propria gemella, fu tuttavia sufficiente all’imprenditrice per intuire la chiave di lettura della questione e, in ciò, per correggere la propria ultima affermazione.

« Oh… » aveva pertanto aggiunto, nel mentre in cui, rapidamente, la sua mente riordinava i frammenti in suo possesso offrendo loro un significato organizzato e, in ciò, concedendole una minima parte della complessa realtà e, ciò non di meno, una parte sufficiente a comprendere in parte cosa fosse accaduto… soprattutto in riferimento alla sua, di parte « … maledizione… »

Decisa a non permettere al proprio ex-marito di proseguire ulteriormente in quell’implicita minaccia alla propria famiglia, l’ex-detective della polizia di New York City aveva recuperato rapidamente il controllo sui propri pensieri, e sulla propria mente, per spingersi avanti, superare la gemella e frapporsi, fisicamente e metaforicamente, fra il proprio demone e lei, a protezione di quest’ultima da parte delle insidie proprie del primo…

« Non avresti dovuto coinvolgerla… » aveva quasi ringhiato nei suoi confronti, nel mentre in cui, nelle sue iridi di ghiaccio, le nere pupille si erano allor ristrette al punto tale da scomparire quasi mai fossero lì state presenti a turbare la gelida perfezione di quello sguardo, rivolto, quasi una promessa di morte, verso il suo avversario, il suo antagonista.
« E tu non avresti dovuto minacciarmi… » aveva risposto egli, avanzando serenamente verso di lei, esprimendosi con tono squisitamente controllato, privo di qualunque emozione, a palesare il più completo controllo di sé e della situazione attorno a sé, per quanto, lo aveva ovviamente intuito sin da subito, quella avrebbe avuto a doversi considerare una trappola a suo discapito « Perdonami, mia cara, ma sei stata estremamente ingenua a ritenere di potermi porre tanto banalmente in scacco… a dispetto del tuo nuovo amichetto lì dietro e dei federali con i quali, ultimamente, sembri intendertela tanto bene. »

Estremamente sgradevole, in quel frangente, per l’investigatrice privata era stato non soltanto tornare a sentire la calda voce del proprio ex-marito, quanto e ancor più tornare a sentirla pronunciare quelle particolari parole, quelle frasi volte a tentare, emotivamente e fisicamente, di demolire in un sol gesto tutte le sue convinzioni, tutte le sue sicurezze, per così come, per lo meno, ella era convinta di poter avere.
E sebbene, nella propria immediata reazione, ella aveva voluto impegnarsi ad apparire ignara di quanto egli stesse dicendo, decisamente poco credibile ebbe a risultare quel tentativo, nel confronto, da parte del suo interlocutorie, non tanto con una tanto azzardata quanto fortunata ipotesi a tal riguardo, quanto, e piuttosto, con una chiara certezza… e una certezza ineluttabilmente derivante da una ferma consapevolezza a tal riguardo.

« I tuoi deliri di onnipotenza ormai stanno scadendo nella paranoia, Desmair… » aveva replicato, scuotendo appena il capo « Federali…? Davvero?! »
« Davvero. » aveva confermato egli, sollevando con un gesto lento e controllato la propria destra, non desiderando risultare minaccioso nei suoi confronti e, tuttavia, volendo giungere a sfiorarle il volto, e in particolare la cicatrice presente sullo stesso, della quale avrebbe avuto a doversi considerare tragico autore « Che brutto servizio ti ho reso tre anni fa… mi spiace davvero averti ridotta in questo stato, invece di ucciderti come avrei dovuto fare, fosse solo per evitarti tanta sofferenza. »

lunedì 24 luglio 2017

RM 204


« Sono ancora indecisa se odiare di più te o me stessa, Ahvn-Qa. » aveva sussurrato in un alito di voce sfuggito fra labbra dischiuse in un sorriso di falsa serenità nel porsi al suo fianco, ad accogliere gli ospiti del “Kriarya” in quella nuova sera di lavoro.
« Bontor… smettila. » le aveva richiesto egli, avvicinandosi al suo orecchio con le proprie labbra, per non essere udito da alcuno, e offrendo esternamente l’impressione di voler condividere qualche commento particolarmente piccante con la splendida donna accanto a sé « Sei una donna meravigliosa. E questo abito ti sta d’incanto… oltre a essere sicuramente più adatto al “Kriarya” rispetto agli stracci che sei solita indossare con tanta caparbietà. »

Parole d’incoraggiamento, quelle dell’uomo, che nulla tuttavia avrebbero potuto togliere all’imbarazzo della sua interlocutrice nel decidere chi odiare di più fra il medesimo e se stessa: il primo, Be’Sihl, per essere stato in grado, malgrado tutto, di convincerla a mettersi tanto in ghingheri in quella che, in fondo, avrebbe potuto essere l’ultima notte della propria vita; la seconda, se stessa, per aver ceduto in maniera tanto banale, complice, sicuramente, la sua vanità femminile, laddove, per una volta, per quella che forse avrebbe anche potuto essere la propria ultima volta, non le sarebbe potuta obiettivamente dispiacere l’idea di sentirsi migliore di quanto, al di là di tutto, non avrebbe potuto dirsi consapevole di essere abitualmente, con i propri consueti abiti. Dopotutto, per lei, sarebbe stato sufficiente volgere lo sguardo a qualunque immagine raffigurante la propria amata gemella Nissa per avere una riprova di quanto, nonostante tutto, un certo genere di abbigliamento più sofisticato rispetto al proprio avrebbe comunque potuto donarle, avrebbe potuto comunque non sfigurare anche addosso a lei: e proprio in tale fallimentare confronto, ella non avrebbe mai potuto ovviare a desiderare di vivere la propria personale fiaba di Cenerentola, scoprendo, al di sotto della fuliggine che abitualmente la manteneva celata, l’immagine di una splendida principessa.
Un desiderio per il quale alcuno le avrebbe imputato colpa e per il quale, tuttavia, ella non avrebbe potuto ovviare a imporsi colpa, in virtù di una mentalità forzatamente antisociale, una linea di pensiero che di certo avrebbe avuto un suo senso in un’altra epoca e che, tuttavia, nei tempi moderni, avrebbe potuto giudicare anche ella stessa, priva di un reale perché, giacché, ormai, persino l’anticonformismo avrebbe avuto a dover essere giudicato qual fermamente regolamentato in termini non meno severi, non meno rigorosi rispetto a qualunque conformismo, snaturandone l’effettiva essenza e rendendolo semplicemente un diverso modo di potersi inquadrare in una qualche classe, in una qualche definizione. Sostanzialmente anarchica nel confronto di ogni regola impostale e, tuttavia, intimamente legata a un senso di legge come alternativa all’ineluttabile perdita d’ogni senso di civiltà, l’ex-detective non avrebbe potuto evitare di vivere un profondo conflitto interiore che, in un frangente sufficientemente stupido qual quello del proprio abbigliamento avrebbe potuto trovare comunque ragione di espressione: e così, benché felice di potersi sentire desiderabile e desiderata in quelle vesti, ella non avrebbe potuto odiarsi per quella stessa gioia, emozione della quale non avrebbe dovuto abbisognare.
E se, in tale conflitto interiore, ella non avrebbe potuto allor ovviare a rivolgere il proprio pensiero a sua sorella, la sua versione migliore, e a loro madre, la quale avrebbe sicuramente gongolato per il piacere di vedere anche la sua svergognata figlia degenere apparir improvvisamente decente nel proprio offrirsi al mondo; ineluttabilmente la donna dagli occhi color ghiaccio non avrebbe potuto che trasalire nel veder comparire sulla porta d’ingresso del “Kriarya” l’immagine della stessa Nissa, rivestita in un sublime lungo abito bianco con rifiniture dorate, nella parte superiore, sfumante in un più vivace rosso vermiglio dalla vita in giù: un’immagine imprevista e imprevedibile che, per un istante, ella aveva avuto a temere potesse essere frutto di un’allucinazione e che, ciò non di meno, un attimo dopo, aveva avuto a maturare devastante certezza non fosse tale, quanto e peggio, riprova della sua effettiva presenza fisica in quel luogo, nell’unico giorno in cui mai avrebbe dovuto farsi viva.

« Ma che diavolo…?! » aveva appena avuto il tempo di iniziare a sussurrare, prima di essere individuata dalla gemella, la quale, con passo spedito, si diresse immediatamente verso di lei, ornando il proprio già splendido volto con un amplio sorriso.
« Midda! » l’aveva salutata, ricercando in maniera naturale un abbraccio con lei, soprattutto ora che nessuna giustificazione in merito ad abiti sporchi avrebbe potuto ostacolarla « Sei stupenda… quasi non ti riconoscevo! » si era voluta congratulare, in termini che avevano avuto a risuonare assolutamente sinceri, qual sincera avrebbe avuto a essere considerata la sua ammirazione per lei « In effetti non ricordo neppure quando possa essere stata l’ultima volta che ti ho vista vestita in maniera tanto elegante… giusto al tuo matrimonio, probabilmente! » aveva ridacchiato, accogliendo quella serata con la massima serenità, la massima gioia, anche e soprattutto in conseguenza della sorella innanzi a sé, stretta fra le sue braccia.

E l’investigatrice privata, che pur non aveva neppure potuto supporre di sottrarsi a quell’abbraccio, eccessivamente spiazzata da tutto quello per poter elaborare un pensiero tanto complesso, si era ritrovata necessariamente vittima delle circostanze per qualche istante, prima di riuscire di nuovo a definirsi padrona di sé e, in ciò, di reagire e di reagire in termini adeguati…

« Nissa… » aveva commentato, in un filo di voce, nel separarsi dall’abbraccio della gemella « … tu che cosa ci fai qui? » le aveva chiesto, non trovando parole migliori rispetto a quelle per esprimere il proprio sgomento: non disappunto, come eventualmente avrebbe potuto essere in qualunque altra sera diversa da quella, ma sgomento, nella consapevolezza di quanto improbabile avrebbe potuto avere a considerarsi la sua presenza lì in maniera del tutto casuale.
« Cosa vuoi dire…? » aveva risposto l’altra, aggrottando la fronte nel non comprendere il senso di quella domanda, scuotendo appena il capo « Quando ho letto il tuo invito, quasi credevo fosse uno scherzo. Ma ora che ti vedo qui, sono davvero felice che tu abbia voluto scrivermi… »

Nessuna casualità, nessuna coincidenza: la lunga cicatrice sul suo volto avrebbe avuto a doversi considerare preposta anche a ricordarle tale importante verità.
Una verità che, a fronte dell’assurda presenza, in quella sera, in quel luogo, di sua sorella, della sua gemella, di metà del suo intero mondo, e, obiettivamente, della metà più bella del suo mondo; avrebbe assunto il valore di un terrificante monito, monito volto a ricordarle quanto, seppur sicuramente Desmair non avrebbe potuto permettersi di piazzare una bomba in quel locale, laddove i tempi moderni non glielo avrebbero perdonato, egli sarebbe comunque riuscito a distruggerla, e a distruggerla in maniera persino più dolorosa, senza bisogno di alcun esplosivo, nel limitarsi a colpirla là dove ella più avrebbe potuto soffrire.

« Devi andare via di qui… ora… » le aveva richiesto, quasi una supplica, nell’invocare un suo rapido allontanamento da quel luogo, senza spiegazioni, senza motivazioni, laddove non avrebbe potuto permettersi di perdere tempo per qualcosa del genere « Devi farla portare via di qui dai tuoi uomini… te ne prego! » si era poi rivolta a Be’Sihl, aggrappandosi, folle di terrore, alla sua giacca, stringendola con violenza nelle proprie mani « Ora! »

Ma il proprietario del “Kriarya”, che pur avrebbe potuto allor dirsi sufficientemente confidente con le reazioni emotive della propria interlocutrice da non equivocarne le effettive motivazioni, da non ritenerla una mera messa in scena per futili ragioni, non si era visto garantito neppur il tempo di reagire secondo quanto da lei supplicatogli, nel ritrovare la propria attenzione, così come quella delle due donne innanzi a lui, richiamata verso l’ingresso del locare, là dove un’altra figura aveva appena fatto, allora, la propria prevedibile apparizione…

domenica 23 luglio 2017

RM 203


Intorno alle tre del pomeriggio, gli uomini al servizio di Be’Sihl avevano fatto comparire alcuni mazzi di carte e, meno di mezz’ora più tardi, anche Midda aveva deciso di unirsi a loro, sperando, al contempo, di non perdere troppi soldi e, ciò non di meno, di ingannare la lunga attesa per le sette, l’orario di apertura del “Kriarya”. Alle quattro del pomeriggio, l’investigatrice privata avrebbe potuto considerarsi in negativo di almeno cento dollari: una cifra che, al di là del generoso anticipo offertole da parte dei federali, avrebbe avuto a doversi considerare, da parte sua, la soglia oltre la quale evitare di spingere i propri passi.
Malgrado ciò, fosse anche solo per il piacere personale di intrattenersi in sua compagnia, un altro seduto al suo tavolo volle suggerire un cambio di gioco, passando dal Texas hold’em a un altro genere di gioco di carte, imparato dai suoi nonni emigrati dall’Italia nell’immediato secondo dopoguerra: il Machiavelli. Fedele al proprio nome, mutuato dal celebre scrittore, politico e filosofo rinascimentale, tale gioco ebbe a presentarsi al contempo estremamente semplice da apprendere nei propri principi fondamentali quanto complicato da giocare, per la straordinaria varietà di combinazioni che, a ogni mossa, avrebbero potuto essere derivate, in misura tale per cui, anche colui che, sino all’ultimo, sarebbe potuto in apparenza risultare ipotetico perdente, sarebbe poi riuscito a ribaltare completamente la propria situazione, chiudendo in una sola mano la partita. Un gioco, pertanto, che non avrebbe certamente sottratto nulla alla tensione propria del poker e che, ciò non di meno, avrebbe richiesto probabilmente ancor più abilità strategica rispetto al precedente: abilità strategica che, dopo un paio di partite giocate in maniera estremamente tranquilla, e utili a tutti per prendere confidenza con il nuovo gioco, ebbe a favorire ineluttabilmente l’investigatrice privata, in misura tale che, alla fine, vinse addirittura per tre volte di seguito prima che, una buona parte dei presenti al tavolo, decidessero di lasciar perdere, nel limitarsi a godere della mera estetica propria della presenza di quell’affascinante figura fra loro senza, in ciò, rischiare di essere particolarmente canzonati dal destino.
Perduti in tal modo alcuni compagni di gioco, Midda aveva avuto tuttavia occasione di accoglierne altri, precedentemente impegnati in altra partita ma che, in parte incuriositi dal nuovo gioco proposto, in parte attratti dall’idea di poterla sfidare, e in parte desiderosi di riscattare l’onore dei loro compagni sconfitti, avevano voluto cambiar tavolo, tentando la sorte in maniera diversa dalla propria consueta via. Ciò non di meno, in quel giuoco ella era parsa trovare piacevole occasione per porre alla prova il proprio intelletto, quella propria abitudine, già ampiamente collaudata con i Post-it nel proprio ufficio anche soltanto la notte precedente, di mischiare le carte in tavola nella volontà di far tornare ogni conto, ragione per la quale anche tutti gli altri, nuovi sfidanti, non poterono riservarsi maggiore fortuna rispetto ai loro predecessori.
A margine di tutto ciò, di quella lunga serie di sfide nelle quali il pomeriggio ebbe a trascorrere in maniera sufficientemente rapida, soltanto il padrone di casa, lo stesso Be’Sihl, aveva offerto evidenza di voler mantenere un certo distacco, ovviando a lasciarsi coinvolgere dall’agonismo pur lì imperante, nel restare, più discretamente, a non meno di una dozzina di piedi di distanza da loro, seguendo da lontano l’evoluzione dei giochi e, con essi, tutte le più o meno vivaci reazioni dei protagonisti di quanto lì ebbe a occorrere. E a poco, in tal senso, ebbero a valere persino dei tentativi di provocazione rivoltegli da parte della stessa donna dagli occhi color ghiaccio, la quale, evidentemente, avrebbe avuto piacere a tentare di umiliarlo innanzi ai suoi uomini e che pur, in tal senso, non ebbe alcuna occasione di impegnarsi, nel disinteresse da lui allor dimostrato  a concederle simile opportunità.
Quando finalmente le sette di sera si erano approssimate, l’ennesima partita in corso aveva avuto a dover essere prematuramente interrotta, per permettere al personale di servizio di riordinare la sala e predisporla all’apertura. Solo a quel punto, quindi, avendo avuto sufficiente possibilità utile a stemperare ogni precedente tensione, l’investigatrice privata aveva potuto accettare di riprendere posto accanto al proprio complice, nella necessità, in tal maniera, di riprendere la messinscena precedente e, con essa, il proprio ruolo di presunta compagna e amante del proprietario del “Kriarya”.

« Sicura di non volerti cambiare e indossare qualcosa di più consono per la serata…? » le aveva suggerito Be’Sihl, riaccogliendola al proprio fianco, e riproponendole un argomento già trattato qualche ora prima, nel merito del suo abbigliamento che, ai suoi occhi, pur caratterizzandola in termini indubbiamente squisiti, non avrebbe avuto a potersi considerare concretamente appropriato per l’ambiente e per il ruolo che ella, al suo interno, avrebbe preteso di interpretare in quella sera.
« So che vedermi indossare l’abito di qualcuna delle tue sgualdrine, magari sufficientemente scollato da farmi apparire degna di una produzione pornografica a basso costo, renderebbe ai tuoi occhi praticamente perfetta questa giornata… » aveva risposto la donna, interpretando in tal modo i reali desideri del proprio interlocutore a tal riguardo « Ciò non di meno… grazie, ma no grazie. » aveva quindi escluso, scuotendo il capo « Preferisco conservare il poco di dignità che mi è ancora rimasta… »
« Sei consapevole di come suoni incredibilmente pregiudizievole ciò che hai appena detto…? » aveva tentato di farle notare egli, per tutta risposta « Oltre a insultare il mio gusto in fatto di abbigliamento femminile, hai insultato gratuitamente qualunque donna io abbia mai frequentato, nonché buona parte dei principali stilisti europei, dai quali abitualmente sono solito servirmi per soddisfare il mio senso estetico. » aveva esplicitato, scuotendo appena il capo « Forse un po’ troppo anche per te… non trovi? »
« So cosa stai tentando di fare: vuoi convincermi a sentirmi in colpa e, in conseguenza di ciò, ad accettare le tue perversioni… » lo aveva tuttavia stroncato ella, sollevando la mancina a domandargli implicitamente di tacere « Lascia perdere… è meglio per entrambi. »

E dal momento in cui, obiettivamente, una sola avrebbe avuto a doversi riconoscere la parola di Midda Namile Bontor, tale per cui, presa una decisione, nulla avrebbe saputo smuoverla dalla propria decisione; al momento dell’apertura del “Kriarya”, i primi avventori che quella sera erano giunti all’interno del locale, per rispettare accuratamente la lunga lista di attesa nelle prenotazioni per quel luogo, avevano avuto a trovare accanto al loro ben noto anfitrione, una nuova figura femminile mai apprezzata in passato e che, pur, non avrebbe potuto mancare di sfuggire ad alcuno, fossero essi uomini, animati in ciò da comprensibile interesse, fossero esse donne, contraddistinte, altresì, da un certo livello d’invidia per quella sconosciuta e per il suo aspetto che, al di là dell’orrida cicatrice presente ad attraversarne il viso, avrebbe avuto a dover essere considerato non meno che magnifico.
Il fisico atletico della donna dagli occhi color ghiaccio, infatti, si era imposto all’attenzione comune qual meravigliosamente delineato, nelle proprie forme, da un completo apparentemente concepito solo a tale scopo, quasi fosse stato disegnato in maniera esclusiva per il suo corpo. Ai suoi piedi, dei bassi sandaletti neri quasi privi di tacco, avevano avvolto delicatamente i suoi piedi, risultando, tuttavia, praticamente celati al di sotto di larghi, larghissimi pantaloni, in delicato velluto blu scuro, quasi indistinguibile dal nero. Pantaloni che, nella propria abbondanza, qualcuno, erroneamente, avrebbe potuto presupporre avrebbero completamente mistificato le sue forme, castigandole nella propria voluttuosità, e che, ciò non di meno, erano riusciti ad apparire qual pensati altresì per risaltarne l’essenza più sincera, nel porre innegabile accento sulla forma soavemente piena dei suoi sodi glutei, i quali, in maniera quasi impertinente, plasmavano il morbido tessuto secondo i propri desideri. Al di sopra di tali pantaloni, il suo busto era apparso poi abbracciato da una delicata camicia di pizzo nero, nel motivo floreale della trama del quale la sua pallida carnagione aveva trovato occasione di risalto pur, obiettivamente, completamente coperta lungo le braccia dalle spalle sino ai polsi, e lungo l’addome dalle clavicole fino a una cintola a sua volta di pizzo che, annodata in un ampio fiocco posto in corrispondenza della parte anteriore del suo fianco sinistro, non aveva lasciasti neppur un semplice pollice di vita in possibile evidenza. Camicia di meravigliosa manifattura, la sua, al di sotto della quale un reggiseno a balconcino, egualmente nero e privo di particolari motivi ornamentali, si era riservato l’impegno, non senza una certa difficoltà, a contenere la mole giunonica dei suoi seni, senza, in questo, tuttavia lasciar adito a volgarità alcuna, al di sotto di un décolleté incredibilmente sobrio, con uno strettissimo scollo a punta che, tuttavia, neppure aveva dato impressione di voler osare lambire la curva superiore delle sue forme. E ricercatamente sobria avrebbe avuto a doversi considerare anche l’assenza di gioie a ornarla ulteriormente, laddove, pur in tanta semplicità, alcun monile avrebbe potuto ulteriormente impreziosire quanto la natura già aveva straordinariamente reso generandola.

sabato 22 luglio 2017

RM 202


« Bravò! Bravò! » aveva applaudito Be’Sihl, a margine della conclusione dello scontro, parlando con accento francese e ricorrendo, volontariamente, a quell’espressione abitualmente rivolta a un artista al termine della propria esibizione, nel voler riconoscerle l’esecuzione magistrale di quel combattimento quasi altro non fosse stato che un balletto classico « Bravissima… complimenti! » aveva ribadito, lasciando sfumare il breve applauso a sua glorificazione « Pur sola, hai saputo rendere superflua la presenza di qualunque dei miei uomini qui attorno schierati… meravigliosa! Impagabile! »

Dopo aver riposto il manganello nella propria custodia, e dopo aver fatto sparire anche il tirapugni, l’efficacia del quale, in accoppiata al duro allenamento con Ma’Vret aveva reso i suoi pugni a dir poco micidiali, l’investigatrice privata aveva ignorato i commenti di sottofondo del proprio anfitrione, preferendo mantenere la propria attenzione sui sei malcapitati quasi svenuti ai propri piedi. E dopo aver accuratamente selezionato quello che, almeno in apparenza, avrebbe potuto considerare il più cosciente nel gruppo, quello con maggiore padronanza di sé in misura sufficiente da poter ricordare e riportare un semplice messaggio al suo padrone, aveva scansato tutti gli altri per avvicinarsi al suo neo-eletto ambasciatore, piegandosi su di lui, afferrandone i capelli e sollevandolo appena, per potergli parlare…

« Questo è tutto quello che aspetta voi qui dentro, al pari di chiunque altro Desmair dovesse mandare qui a pretendere soldi per assicurare protezione. » aveva scandito lentamente il proprio messaggio, sbatacchiando leggermente il pesante capo del grosso tirapiedi disteso sotto di lei, e al quale stava in ciò rivolgendosi « Riferitelo pure al vostro indomito condottiero… e invitatelo a venirmi pure a trovare qui al “Kriarya”, stasera, in orario di apertura. Giacché o si farà vivo lui, per chiedermi scusa e per garantirmi, nuovamente, che lascerà la città; o non vi sarà luogo in città in cui si potrà nascondere per salvarsi dalla mia ira: l’ho raggiunto e colpito tre anni fa, quando era il gran capo di tutta New York… oggi, che non conta nulla, lo schiaccerò come l’insulso scarafaggio che è. »

Un messaggio sicuramente contraddistinto da un certo livello di arroganza, il suo, e che pur, in tal momento, in tal frangente, avrebbe avuto a doversi considerare esattamente quanto ella avrebbe potuto desiderare trasmettere tanto a quegli scagnozzi, quanto e ancor più al loro datore di lavoro, una sfida, la sua, apertamente dichiarata a Desmair e di fronte alla quale, speranzosamente, egli non si sarebbe tirato indietro, se non per orgoglio personale, quantomeno per non veder messa in dubbio la propria posizione all’interno dell’ecosistema criminale di New York. Ove, infatti, egli fosse stato anche sufficientemente razionale da non voler cedere a quella che, difficilmente, sarebbe potuta essere intesa in misura differente da una provocazione, e da una provocazione a suo discapito; in virtù dell’evidenza di quanto si stesse allor impegnandosi allo scopo di riconquistare, non senza una certa difficoltà, il ruolo occupato un tempo all’interno del contesto cittadino, egli non si sarebbe mai potuto permettere di trascurare una tale aggressione a discapito dei suoi uomini e una simile sfida al suo potere senza, in questo, sottintendere evidente debolezza, palese inadeguatezza al proprio desiderato ruolo. In ciò, quindi, dopo il guanto di sfida lì lanciato, che potesse volerlo o meno, qualche risposta avrebbe avuto a dover da lui sorgere e sorgere nei tempi più rapidi possibili anche nel rispetto del perentorio invito da lei intimato.
Ovviamente, alla luce di quanto lì occorso, e delle parole così da lei pronunciate, il rischio concreto che né Midda né Be’Sihl avrebbero mai potuto ignorare, a meno di non volersi dimostrare imperdonabilmente ingenui, sarebbe stato quello di una rivalsa in termini estremamente violenti, come una bomba piazzata all’interno del “Kriarya”, per risolvere in maniera squisitamente radicale il problema: ciò non di meno, e pur non trascurando simile eventualità, l’investigatrice privata si sarebbe dovuta considerare sufficientemente confidente con l’idea di quanto il proprio ex-marito non avrebbe avuto a doversi considerare tanto plateale, e tanto stupido, dal perseguire una soluzione in conseguenza alla quale, ineluttabilmente, si sarebbe ritrovato al centro del mirino di qualunque agenzia federale, finendo per essere inquadrato, in un’epoca già sufficientemente carica di tensioni, qual terrorista. Quella, dopotutto, avrebbe avuto a doversi riconoscere qual la New York del 2010 e non la Chicago del 1920… e per quanto, probabilmente, Desmair sarebbe stato felice di poter incarnare una riedizione moderna di Alphonse Gabriel Capone, difficilmente certi metodi avrebbero avuto a poter essere considerati attuabili nell’America moderna post 11 settembre.
Liberatisi, quindi, dei tirapiedi di Desmair rigettandoli, semplicemente, nel vicolo laterale al “Kriarya”, per Midda e Be’Sihl aveva avuto a iniziare un nuovo periodo di attesa: attesa per l’arrivo della sera, attesa per l’apertura del locale, attesa per la speranzosamente certa conclusione di quella storia. Un’attesa nel corso della quale, ai due complici, nemici naturali e pur alleati, forse amici, in quel particolare frangente, contro un avversario comune, era stato ineluttabilmente concesso tempo utile per parlare… e per confrontarsi, in ciò, anche su quanto era lì appena occorso.

« Se credi che ti chiederò scusa per averti baciata, Bontor, ti sbagli di grosso… » aveva scosso il capo il proprietario del locale, tornandosi ad accomodare al bancone e facendosi servire, con un semplice cenno della mano, un bicchiere di scotch, della propria riserva personale « … ed è inutile che mi continui ad osservare con quell’aria da “non puoi davvero pensare di passarla liscia”, perché è esattamente quello che sto pensando in questo momento. » aveva ribadito, indicando poi l’alcolico servitogli, a domandarle, implicitamente, se ne desiderasse a propria volta.
« Sono le due del pomeriggio, Ahvn-Qa… sono certa che qualcuno lo definirebbe “alcolismo”. » aveva risposto ella, storcendo le labbra verso il basso con disappunto « E, comunque, scusarti per avermi baciata è il minimo che tu possa fare, soprattutto nel considerare l’evidenza del fatto che mi hai appena visto pestare a sangue sei uomini grandi almeno il doppio di te, e il triplo rispetto a me… »
« Mettiamola così: tu non pretendere da me delle scuse, e io mi sforzerò di far finta che non ti sia piaciuto. » aveva replicato egli, sorridendo divertito nel sollevare il bicchiere e nell’inspirarne gli effluvi alcolici ancor prima di pensare di sorseggiarlo, in un gesto che avrebbe avuto sicuramente senso con un calice di vino ma che, nel confronto con dello scotch sarebbe apparso forse inappropriato « E, per la cronaca, questo mi aiuta a tranquillizzarmi… e non perché io abbia a dover essere considerato agitato per la questione con il tuo ex; quanto e piuttosto proprio per il tuo bacio. » aveva voluto rincalzare la dose, giustificando la sua necessità di quell’alcolico proprio per colpa della donna « Sto davvero impegnandomi a essere quanto più possibile professionale e distaccato nei tuoi confronti, Bontor… ma non è facile. Tu non sei facile. »
« Come?! » aveva esclamato l’investigatrice privata, strabuzzando gli occhi con sorpresa e, forse, persino imbarazzo per quell’affermazione, volta a rigirare l’intera questione a suo discapito, rendendola responsabile di quanto occorso sebbene, invero, tutto fosse iniziato proprio e solo da lui « Razza di lurido cane bastardo… non osare fare certi giochi dialettici con me: sei stato tu a baciarmi, di prepotenza e senza alcuna ragione, dal momento che sarebbe stato sufficiente una qualunque altra azione per impormi il silenzio in quel momento! » aveva tentato di argomentare, senza rendersi conto, nell’emotività del momento, di quanto così facendo altro non stesse ottenendo che dimostrare un proprio sentimento di colpa, laddove, in caso contrario, non avrebbe avuto ragione di dedicare tanto interesse alla questione « E, per dirla tutta, io ti ho baciato solo per reggere il tuo sporco giuoco… e il personaggio che sarei andata a interpretare. »
« Se dirlo ad alta voce ti fa star meglio, mia cara, non sarò di certo io a impedirtelo… » si era stretto fra le spalle l’uomo, aggrottando appena la fronte a sottolineare la propria più assoluta serenità nel confronto con quella discussione, quasi, dopotutto, quanto occorso non potesse suscitargli particolari reazioni, né nel bene, né nel male.
E Midda, sentendosi avvampare per l’ira, si era ritrovata costretta a conficcarsi le unghie nei palmi delle mani per trattenersi dal colpirlo, e dal colpirlo violentemente, ricordandosi quanto, ancora, egli potesse essergli utile come alleato: « Va all’inferno, Ahvn-Qa… »

venerdì 21 luglio 2017

RM 201


« Be’Sihl Ahvn-Qa…? » aveva quindi insistito l’emissario di Desmair, con una certa irritazione nel ritrovarsi tanto palesemente ignorato.

Solo a quel punto, Midda aveva accettato di separarsi dal proprio presunto compagno, interrompendo il secondo bacio fra loro, per volgere il proprio sguardo, la propria attenzione, ai nuovi arrivati, sforzandosi di dimostrarsi quanto mai scocciata per quell’interruzione e, in tal senso, neppur impegnandosi particolarmente, giacché, comunque, avrebbe avuto a doversi considerare effettivamente tale nei loro riguardi, non tanto per averle rovinato il momento di intimità, quanto e piuttosto per averla costretta in tal senso, laddove, in fondo, tutto era accaduto in sola conseguenza al loro arrivo sulla scena.

« Signor Ahvn-Qa, per te. » aveva allora risposto, prendendo parola e presentando, in tal senso, il padrone di casa, salvo, poi, avanzare di qualche passo verso i sei, senza palesare il benché minimo interesse né per il loro numero, né tantomeno per la loro stazza, nell’appoggiare le mani ai fianchi e nell’imporsi al loro sguardo, alla loro attenzione, armata solo del proprio manganello telescopico, la sola arma in suo possesso sin dal giorno in cui si era dimessa dalla polizia, quell’unica risorsa abitualmente custodita in una custodia ascellare e celata sotto la giacca, e allora, invece, in piena evidenza e, ove necessario, pronta all’uso « E voi, se non erro, dovreste essere gli sgherri di quel fallito del mio ex-marito… »

Per un istante, il portavoce del gruppo era rimasto interdetto alla presa di parola di quella donna per lui sconosciuta, alternando lo sguardo prima fra lei e il proprietario del “Kriarya”, alle sue spalle, e poi voltandosi appena a cercare qualche silenzioso consiglio da parte del resto del gruppo, francamente colto di sopresa da quello sviluppo: dopotutto, erano stati lì mandati solo per riscuotere il giusto pagamento per assicurare il locale contro possibili incidenti… e, nel caso, creare qualche possibile incidente, a titolo dimostrativo.
Il fatto che, tuttavia, quella sconosciuta si fosse così presentata, non avrebbe potuto restare trascurato… al contrario.

« E questa cagna chi sarebbe…? » aveva alfine ripreso parola e tentato nuovamente di rivolgersi in direzione di Be’Sihl Ahvn-Qa, aggrottando la fronte con rinnovato disappunto, non soltanto per l’attesa alla quale erano così stati sottoposti ma, anche e ancor più, per l’intromissione di quella figura femminile alla quale, evidentemente, non avrebbero desiderato concedere particolare riguardo.
« Questa cagna si chiama Midda Bontor… » era di nuovo intervenuta la stessa investigatrice privata, stringendo appena i denti al di sotto delle socchiuse labbra carnose, a trattenere a stento l’ira per quanto stava accadendo, nel mentre in cui, con un gesto deciso e sufficientemente inequivocabile, aveva estratto il proprio manganello telescopico dalla custodia e lo aveva allungato nella sua intera estensione, reggendolo saldamente nella propria mancina, nel contempo in cui, a racchiudere la destra, aveva fatto la propria apparizione, dalla tasca dei suoi pantaloni, un tirapugni, grazioso pensiero del proprio anfitrione « E, per vostra informazione, tre anni fa avevo concesso a Desmair di lasciare questa città per non farvi più ritorno. Ma, evidentemente, lo sterco che gli soffoca il cervello gli ha impedito di ricordarsi del nostro accordo. »
« Rossa… » le aveva concesso finalmente attenzione l’altro, scostando appena la propria giacca al fine di mostrare, al di sotto della stessa, infilata nei pantaloni, una grossa rivoltella nera, una Smith & Wesson M27 « Non ci si presenta a una sparatoria armata di un bastone… a meno di non avere a noia la vita. »

Che Midda potesse avere a noia la vita, in quel giorno, molti sarebbero stati potenzialmente disposti a crederlo, dal momento in cui, istante dopo istante, ella non avrebbe potuto offrire null’altro al di fuori dell’impressione di voler trovare un’occasione per suicidarsi. Che, tuttavia, quei sei avrebbero potuto fregiarsi di tale onore, indubbiamente improbabile sarebbe stato a doversi considerare, anche e soprattutto agli occhi di chi, come Be’Sihl, incrociando le braccia al petto, in quel momento non aveva mancato di prepararsi ad assistere a quanto, ne era certo, sarebbe stato uno spettacolo unico. Se infatti, tre anni prima, l’allor detective si era spinta in un grosso guaio, andando a sfidare, sola, l’intera organizzazione mafiosa diretta da suo marito, e, malgrado tutto, ne era sopravvissuta, in un risultato che, già da solo, avrebbe avuto a doversi considerare leggendario; da quel momento, da quell’errore mai dimenticato, ella non aveva fatto altro che impegnarsi allo scopo di non ritrovarsi mai più in una situazione simile: non, tuttavia, nell’ovviare a nuove, drammatiche situazioni di rischio, quanto e piuttosto nell’impegnarsi per migliorare se stessa, la propria già straordinaria forma fisica, la propria forza e la propria velocità, in un allenamento, in un addestramento, che, a posteriori, sarebbe stato probabilmente considerato mero prodromo di quel nuovo, e speranzosamente finale, capitolo della propria sfida a Desmair.
Con uno scatto che definire felino avrebbe significato peccare di banalità, in un fugace battito di ciglia l’investigatrice privata aveva quindi coperto i venti piedi che sino a quel momento l’avevano separata dai propri avversari, dando, quasi, l’impressione di essersi materializzata davanti a loro, per avventarsi, senza pietà alcuna, su quel gruppo di malcapitati. A non concederle occasione di frenare i propri colpi, oltre all’ira indirettamente in ciò destinata al proprio ex-marito, avrebbe avuto a doversi riconoscere in tale occasione la duplice consapevolezza di quanto, a condizioni inverse, essi non sarebbero stati più generosi verso di lei e, soprattutto, di quanto, effettivamente, il piombo dei loro proiettili avrebbe potuto nuocere gravemente alla propria salute, in maniera estremamente più rapida rispetto a quello contenuto nella benzina. Oltretutto, ormai non più vincolata dalle remore proprie di un poliziotto, dai limiti morali della donna che era stata un tempo, ella non avrebbe potuto per alcuna ragione minimizzare volontariamente l’efficacia di quegli attacchi, menando colpi come un proverbiale fabbro, tanto con il proprio manganello, quanto, e ancor più, con il nuovo giocattolo gentilmente regalatole da Ahvn-Qa, quel supporto in freddo e lucido metallo che, ineluttabilmente, avrebbe trasformato i suoi già pericolosi pugni in vere e proprie armi, tali da poter persino infrangere zigomi, mascelle e mandibole se solo avesse deciso di mirare più in alto e, soprattutto, di accumulare sei cadaveri ai propri piedi. Tale, tuttavia, non avrebbe avuto a dover essere considerata la sua intenzione, il suo fine ultimo, laddove, al contrario, se lì fossero morti non soltanto ella avrebbe giustamente trascorso la propria vita in carcere ma, ancor peggio, non avrebbe neppure ottenuto il proprio effettivo scopo, il proprio unico e solo traguardo: Desmair.
Così, sotto lo sguardo attento di Be’Sihl e dei suoi uomini, sia dei due lì ancora visibili, sia di tutti gli altri accuratamente disposti lungo il locale in maniera tale da poter fare la propria apparizione in qualunque momento, alla bisogna; Midda Bontor si era limitata a danzare una terrificante danza di violenza, sangue e sudore, piroettando, quasi letteralmente, fra quei sei bruti e, per quanto fisicamente grande quasi la metà di ognuno di loro, al tempo stesso riuscendo straordinariamente a imporsi su tutti loro, resa simile a un gigante tanto dalla propria bravura, quanto, e ancor più, da una vera e propria, estemporanea, separazione dalla realtà, tale da farle dimenticare persino del luogo entro il quale si stava combattendo tale battaglia, e da proiettarla, mentalmente, in tempi lontani, in posti dimenticati, in un’epoca forse più barbara, e, ciò non di meno, anche più semplice rispetto a quella moderna. E meno di cinque minuti dopo, sei corpi rantolanti e sostanzialmente svenuti, avevano ricoperto il pavimento del “Kriarya”, lì rigettati senza neppur aver avuto occasione di ipotizzare, effettivamente, si estrarre le proprie pistole.

« Quando un uomo con la pistola incontra una donna con un bastone, quello con la pistola è un uomo morto. » aveva parafrasato, a conclusione di tutto, una celebre citazione cinematografica, nell’osservare, con soddisfazione, quanto ottenuto, e con gratitudine il proprio manganello, fedele compagno, ormai da anni, di ogni propria rissa.

giovedì 20 luglio 2017

RM 200


« Chissà perché, pensando a noi due insieme, non posso fare altro che immaginare “La guerra dei Roses”… » aveva tentato, immediatamente, di smontarlo ella, nella volontà di stemperare i toni utilizzati da lui e ritenuti, dal proprio punto di vista, un po’ troppo entusiastici nel confronto con quanto, pur, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto, semplicemente, qual una strategia di guerra e nulla di più, non volendo in alcun modo rappresentare un qualche genere di inizio fra loro.
« E io che speravo avresti pensato, piuttosto, di paragonarci a Luke e Lorelai… » aveva sospirato l’altro, scuotendo appena il capo e simulando vivo dolore, in termini addirittura grotteschi, per quell’affermazione a suo ipotetico discapito e, soprattutto, a negazione di qualunque possibilità fra loro « In fondo, anche io sono il proprietario di un locale. »
« Cielo… » aveva sgranato gli occhi l’investigatrice privata, sorpresa e sgomenta per quel riferimento televisivo che mai si sarebbe potuto attendere da parte di quell’uomo, nel non poter immaginare un criminale suo pari intento a seguire le vicende delle ragazze Gilmore « … non so se essere più scioccata o, forse, spaventata all’idea che tu possa aver davvero proposto un simile paragone, dimostrando una certa cognizione di causa a tal riguardo. » aveva apertamente confidato, scuotendo appena il capo « Cioè… non è che io voglia scadere obbligatoriamente nello stereotipo, ma... la tua immagine da gangster afroamericano potrebbe risentire parecchio di fronte all’evidenza di certe affermazioni. »
« Un gangster…? » aveva aggrottato la fronte il proprietario del “Kriarya”, non potendo fare a meno di dimostrarsi contrariato per una tale definizione « E’ in questo modo che tu mi vedi, Bontor? » le aveva domandato, a cercare da lei conferma a tal riguardo, quasi come se, davvero, ella avrebbe avuto a doverlo ritenere diverso di ciò, al di là di tutto il loro pregresso.
« E come credi dovrei vederti?… Sentiamo… » aveva replicato, puntualmente, ella, con tono di aperta sfida e, ciò non di meno, eventualmente pronta ad ascoltare qualunque alternativa egli avrebbe potuto valutare qual preferibile a quella « Permettimi di sottolineare come non assomigli minimamente alla mia personalissima idea di fatina buona dei denti. » aveva evidenziato con sarcasmo, cercando di mantenersi in toni quanto più possibile scherzosi, pur potendosi obiettivamente riconoscere persino contrariata dal tentativo, da parte dell’altro, di rinegoziare la propria posizione ai suoi occhi.

Dimostrando, tuttavia, più carattere e temperamento di quanto probabilmente, a ruoli inversi, la stessa investigatrice privata sarebbe stata in grado di rendere proprio, egli non aveva reagito alla provocazione così rivoltagli, limitandosi a sorridere e a scuotere appena il capo, quasi e persino con condiscendenza, a suggerire, a dimostrare, di conoscere probabilmente più cose di quante ella non fosse disposta ad attribuirgli, e non tanto in merito a qualche serie televisiva, quanto e piuttosto alla vita e alle sue dinamiche. E qualcosa, in tale reazione, non aveva potuto ovviare a colpire la donna dagli occhi color ghiaccio, nell’impegno ancor da lui dimostrato al fine non tanto di dimostrarsi a lei superiore, quanto di essere a lei superiore, nel lasciar correre, nel soprassedere sulla questione, con una pazienza, con una docilità, con una serenità, che, sinceramente, l’avrebbero indisposta non meno di quanto, parimenti, l’avrebbero potuta affascinare, in una chiara dimostrazione di assoluto controllo non dissimile da quella che, per esempio, era solito dimostrare Ma’Vret, durante le loro sessioni di allenamento, durante i loro incontri di pugilato.
Un paragone, quello fra i due uomini, che ella si volle affrettare a concludere lì, nel non voler permettere alla propria mente alcuna occasione utile per redimere l’immagine di quel criminale ai suoi occhi, nel tradurlo da un possibile simulacro del suo ex-marito, a una potenziale alternativa al suo attuale compagno, segreto amante: molto meglio poter continuare a ritenere Ahvn-Qa quanto di più prossimo a uno sgradevole mal di pancia, prima di concedersi stupidamente nuovi, spiacevoli errori di valutazioni come quello per rimediare al quale, forse, presto sarebbe persino morta.
Nelle ore successive, ovviamente, non erano mancate nuove provocazioni da parte del padrone di casa, alle quali, presto, la donna dagli occhi color ghiaccio aveva persino rinunciato a ovviare a qualunque replica, nel finire con lo sfruttare tutto ciò al parti di un passatempo, di un’occasione di intrattenimento nell’attesa del momento in cui, alfine, gli uomini di Desmair si sarebbero presentati a esigere il pagamento del loro tentativo di estorsione. E solo quando, ormai, ella stava iniziando a temere che, insensatamente, tutto quello fosse stato soltanto uno stupido scherzo da parte del proprio anfitrione, uno degli uomini della sicurezza, che avrebbe potuto anche definire qual tirapiedi, aveva annunciato l’arrivo di gruppetto di visitatori…

« Tutti ai propri posti. » aveva quindi ordinato Be’Sihl, dimostrando quanto, al di là di ogni apparente distrazione precedente, avesse allor mantenuto assoluto controllo sulla situazione, non permettendosi di obliare alle ragioni per le quali erano lì, il fine ultimo di tutto quello.

Secondo le istruzioni ricevute, tutti gli scagnozzi del proprietario del “Kriarya” si erano allora a sparsi lungo il locale, apparentemente svanendo nella naturale penombra del medesimo e, in ciò, lasciandolo solo con solo un paio di loro e, immancabilmente, Midda, la quale, allora, era dovuta scendere a patti con ogni propria ancor non completamente superata ritrosia, nel privarsi della propria giacca di pelle, per apparire lì maggiormente a proprio agio, non ospite quanto e piuttosto quasi a sua volta padrona di casa, e nell’abbracciarsi al proprio nemico-amico, in un gesto del quale non avrebbe avuto a dover attendere un qualche momento futuro per pentirsi.

« Ti prego… risparmiami qualunque commento. » aveva sinceramente invocato la pietà dell’uomo, nel ritrovarsi già sufficientemente lontana dal potersi considerare a proprio agio per poter, in tal senso, sopportare anche qualche facile ironia sul momento « Anche perché qualunque cosa tu possa dirmi, a livello di critica, puoi star certo di non essere il primo: sì, ho i seni sproporzionati rispetto al resto del corpo; sì, qualche pollice in più in altezza non guasterebbe; sì, la mia cicatrice vista da vicino è davvero orren… »
« Sei perfetta come sei. » l’aveva, tuttavia, interrotta egli, ricambiando l’abbraccio nel quale ella si era lì dovuta impegnare, con indubbiamente minore fatica emotiva, sforzo psicologico, rispetto a quanto a lei palesemente necessario in tutto ciò.
« Ahvn-Qa… non mi prendere per il… »

Con tali parole aveva tentato nuovamente di protestare l’investigatrice privata, quando, in un gesto precedentemente non concordato, e che pur, nella posizione da loro lì assunta non avrebbe avuto a doversi considerare del tutto privo di ragioni, egli aveva avuto a zittirla spingendo delicatamente le proprie carnose labbra su quelle di lei, e rubandole, in tal maniera, un bacio che, al di là di ogni impegno quasi teatrale nel dar vita a quella scena, difficilmente avrebbe avuto a potersi considerare mera simulazione, almeno da parte dello stesso Be’Sihl.
E se pur, di fronte a quella dolce aggressione, la prima reazione di Midda era stata quella di ritrarsi e di colpirlo vigorosamente, punendolo per la propria arroganza, con la coda dell’occhio ella non aveva potuto ovviare a cogliere quanto, forse, lo aveva costretto a quell’azione: l’ingresso in scena di una mezza dozzina di uomini di diverse etnie, e pur tutti accomunati da un massiccio fisico da culturista e l’aria di chi, in galera, avrebbe avuto a doversi considerare praticamente a casa propria. Una reazione indubbiamente calcolata, quella che il proprietario del “Kriarya” si era allora concesso nei suoi riguardi, e, ciò non di meno, una reazione la cui esecuzione avrebbe avuto a doversi giudicare probabilmente un po’ più appassionata di quanto ella non avrebbe potuto al suo posto ipotizzare di ricercare, in termini per i quali, egli, sicuramente, avrebbe trovato modo di difendersi invocando la necessità di veridicità in tal bacio, e che pur, una parte della mente della donna, non avrebbe potuto ovviare a considerare animata da altre motivazioni.
Così, nel mentre in cui gli uomini di Desmair erano avanzati all’interno del “Kriarya”, cercando di apparire probabilmente quanto più possibile truci e pericolosi, il proprietario del medesimo si era dimostrato del tutto indifferente alla loro presenza, impegnato, piuttosto, a baciare, e a baciare con palese passione, una donna dai rossi capelli, a lui stretta in un abbraccio: una scena difficile da ignorare e che, indubbiamente, non avrebbe potuto mancare di essere riferita a chi di dovere, insieme a quanto, di lì a breve, avrebbe avuto a occorrere.

« Be’Sihl Ahvn-Qa…? » aveva tentato di richiamare l’attenzione del padrone di casa uno degli ospiti non invitati, probabilmente il portavoce di quel potenzialmente pericoloso gruppetto.

Un richiamo di fronte al quale, beffardo come di consueto, l’uomo non si era degnato di rispondere immediatamente. Al contrario, egli aveva addirittura distaccato di poco la propria mancina dal collo della propria compagna, attorno alla quale tale mano si era prima adagiata a guidarla a quel bacio, per invocare, con un gesto indubbiamente esplicito dell’indice della stessa, ancora un attimo di pazienza sino al termine di quel momento, che non avrebbe meritato di essere brutalmente interrotto solo per l’arrivo di un gruppo di taglieggiatori.
Riservandosi, pertanto, l’occasione di concludere quel momento di intimità con la propria complice in maniera meno affrettata rispetto a quanto non fosse iniziato, Be’Sihl aveva quindi di separarsi da lei, nella certezza di quanto, quel proprio gesto, sarebbe sicuramente stato pagato per il resto della propria vita. Quanto, però, né lui, né alcun altro fra i presenti, avrebbe potuto attendersi, sarebbe stata la reazione della donna al momento in cui le loro labbra ebbero a separarsi; laddove, dopo un rapido sguardo ai nuovi giunti, e un’espressione volutamente carica di fastidio per l’interruzione loro imposta, si era riservata l’opportunità di sollevare entrambe le mani ad afferrare nuovamente il bavero dell’elegante giacca del proprio compagno per trarlo, prepotentemente, di nuovo a sé, per un secondo, più breve, e pur, persino più appassionato bacio.
Un gesto che, dal punto di vista della donna, non avrebbe avuto a dover significare nulla e che, ciò non di meno, avrebbe dovuto, in quel frangente, supportare un ben diverso tipo d’immagine rispetto a quella che, altrimenti, avrebbe potuto essere fraintesa da quel gruppo di buzzurri, includendo in tal definizione non soltanto i sei scagnozzi del proprio ex-marito, ma tutti i presenti, compreso lo stesso Be’Sihl: a prescindere da quanto avrebbe potuto star lì accadendo, reale o fittizio che avesse a dover essere considerato, ella non sarebbe mai stata la sciacquetta tutta curve del capo… al contrario. Se lì avrebbe avuto a dover essere riconosciuto un capo, tale sarebbe stata solo lei.