11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 3 luglio 2017

RM 183


Quando, dopo una notte completamente insonne, Midda Bontor oltrepassò le porte del Javits, il più alto edificio federale degli Stati Uniti d’America, sede di molteplici agenzie governative, fra le quali il DHS, l’SSA, il GSA, l’USCIS e, ovviamente, l’FBI, era perfettamente consapevole che, nel migliore dei casi, sarebbe uscita di lì in manette, per un viaggio di sola andata verso un carcere federale.
Purtroppo per lei, l’idea, in quel momento, non la preoccupava minimamente.

Nel momento stesso in cui Nihavi, quella notte, aveva fatto il nome di Desmair, un interruttore era scattato nella sua mente e, per quanto così poche ancora avessero a doversi considerare le informazioni in suo possesso nel merito del caso affidatole dal Grosso e dallo Smilzo, tutto, improvvisamente, era apparso finalmente chiaro: il perché il Bureau potesse aver bisogno di lei, il perché di tanta nebulosa esposizione nel merito delle pur basilari informazioni per lei utili a sopperire all’incarico affidatole, il perché della massima segretezza richiestale nei confronti anche della polizia, nonché il perché del ritorno in città del suo ex-marito. E quando tutti questi perché avevano avuto la propria opportunità di chiarimento, avevano avuto la propria possibilità di trovare una giusta collocazione nel quadro d’insieme, il primo pensiero, il primo viscerale desiderio che l’aveva colta avrebbe avuto a doversi considerare quello di avventarsi contro i propri due clienti, prendendoli a schiaffi a coppie di due fino a quando, il conteggio totale, non fosse divenuto dispari, pur consapevole di quanto ciò, per l’appunto, non sarebbe stato considerabile propriamente auspicabile per il proprio bene.
Per lunghe ore, dopo la fine del colloquio con la prostituta, alla quale aveva lasciato quasi il doppio di quanto quest’ultima aveva domandato, l’investigatrice privata aveva cercato di smaltire la rabbia, camminando in lungo e in largo attraverso Brooklyn, prima, e Manhattan, poi, passando per Central Park, andando persino a cercare il proprio buon vecchio amico Balto per trovare in lui conforto, e ottenendo, tuttavia, soltanto ragione di sentir un forte senso di rabbia crescerle dentro, in misura tale per cui, a tratti, si era ritrovata a temere che una qualche vena avrebbe potuto esploderle da un momento all’altro. Rabbia, ovviamente, per Desmair, che era tornato in città, ed era tornato in città chiaramente con l’intento di riprendere là da dove tre anni prima era stato costretto a interrompersi; rabbia, anche e forse ancor più, per quella dannata coppia di agenti federali, i quali, con estrema delicatezza, non dissimile da quella propria di un elefante in una cristalleria, nonché con straordinaria arguzia, un vero e proprio colpo di genio degno di essere segnalato a Stoccolma per l’attribuzione di un premio Nobel, erano arrivati a ritenere possibile assumerla per indagare sul proprio ex-marito senza che ella potesse rendersene conto o, peggio ancora, rendendosene conto, potesse aver ragione di arrabbiarsi.
Alle otto del mattino, un quarto d’ora prima dell’apertura degli uffici governativi di Federal Plaza, in una condizione che qualcuno avrebbe potuto definire pietosa, e che, qualcun altro, più accorto, avrebbe potuto altresì considerare terrificante, nella propria più temibile accezione, ella ebbe così a presentarsi d’innanzi alle porte della sede newyorkese di una delle più importanti agenzie del mondo, chiaramente decisa a trascorrere il resto della propria vita dietro le sbarre, dal momento in cui, a spingerla sino a quel punto avrebbe avuto a doversi ancora riconoscere il desiderio di gridare a pieni polmoni contro le due Grane Federali, condividendo con loro tutta la propria vivace intelligenza nel riuscire a formulare ogni qual genere di insulto umanamente intelligibile.

“E’ una sciocchezza… non puoi mandare nuovamente all’aria la tua vita per colpa di Desmair.” arringò la parte più razionale della sua mente, sforzandosi di invitarla alla calma, al recupero delle proprie consuete capacità intellettuali, in grazia alle quali incontrovertibile sarebbe stato riconoscere quanto stupido, nonché terribilmente dannoso, avrebbe avuto a doversi considerare tutto ciò.
“Al diavolo Desmair, al diavolo i federali, al diavolo tutti quanti…” contestò, per tutta risposta, la parte più istintiva, più incontrollata della sua mente, quel sistema limbico retaggio dell’epoca in cui i progenitori dell’umanità vivevano ancora sugli alberi, desiderosa di condurla verso una squisita condizione di sequestro emotivo in conseguenza al quale, allora, avrebbe potuto prendere in esame soltanto due opportunità, la fuga o l’attacco, una scelta non difficile laddove di fuggire ella non stava dimostrando intenzione alcuna.

Un intimo equilibrio posto a dura prova, pertanto, e che certamente avrebbe appassionato molti strizzacervelli se solo avessero avuto occasione di essere testimoni di un tanto violento conflitto interiore. Purtroppo per lei, come possibili spettatori delle conseguenze di quella sua spiacevole corsa sul filo del rasoio, non sarebbero stati dei medici comprensivi, ma dei meno affettuosi agenti federali, i quali, difficilmente, le avrebbero permesso di arrivare ad aggredire due propri colleghi.
Quando, in maniera ineccepibilmente puntuale, alle otto e un quarto, la porta dell’ingresso all’edificio federale venne aperta al pubblico, Midda ebbe a ritrovarsi immediatamente a confronto con una coppia di G-Man, non i suoi due agenti del cuore e, ciò non di meno, due federali, i quali, allora, ebbero ad accoglierla con una semplicissima, e legittima domanda…

« Desidera…? »

Una questione elementare, ma per soddisfare la quale, in quel momento, ella ebbe a costringersi a porre a tacere entrambe le proprie conflittuali metà psicologiche, per poter tornare al comando della situazione, in un ritrovato controllo che, sicuramente, qualcuno avrebbe potuto interpretare qual indicativo della vittoria della sua metà più razionale, ma che pur, qualcun altro, conoscendola meglio, avrebbe potuto altresì ravvisare, soprattutto nella fugace contrazione delle sue nere pupille all’interno delle glaciali iridi, qual evidenza di quanto, allora, fosse altresì la sua metà più aggressiva a predominare… e a pretendere un momento di calma soltanto per potersi permettere di raggiungere, effettivamente, il risultato desiderato.

« Buongiorno. » sorrise l’investigatrice, porgendo immediatamente le proprie credenziali, a non voler suggerire ambiguità alcuna nel suo comportamento « Mi chiamo Midda Namile Bontor, proprietaria e unica impiegata della “Thyres Investigazioni”, e sono stata assunta dall’agente speciale Udon e dall’agente speciale Ahlk-Ma per collaborare nel merito del caso Von Kah. » dichiarò, senza ipotizzare alcun tentativo di dissimulazione a tal riguardo, non laddove, del resto, ella avrebbe ancor potuto vantare, almeno per il momento, di essere al loro servizio.
« Uhm… » esitò il federale, prendendo i documenti da lei offerti e scrutandoli con attenzione, a valutarne il contenuto e, soprattutto, la veridicità.
« So che avrei dovuto chiamarli a un recapito speciale che mi è stato fornito, per concordare un’opportunità d’incontro in un luogo discreto e appartato… ma ho ottenuto delle informazioni importanti che necessito di condividere immediatamente con i vostri colleghi. » continuò la prima, accettando quel monosillabico grugnito qual una risposta sufficiente per proseguire oltre e per meglio specificare le ragioni della propria presenza in quel luogo « E’ possibile incontrarli…? »

Forse per la sicurezza con la quale ella ebbe a proporre loro la quasi completa verità della propria storia, forse per la presenza di nomi effettivamente significativi per il proprio interlocutore, forse e ancora per la vicenda così particolare per poterla condurre a essere banalmente liquidata qual mera scocciatrice; i due federali che ebbero lì ad accoglierla non la respinsero immediatamente al mittente.
Al contrario, riconsegnandole cortesemente le proprie credenziali, il suo interlocutore ebbe a domandarle un attimo di pazienza, per offrirgli il tempo utile a verificare i suoi dati, prima ancora di controllare l’effettiva disponibilità di coloro da lei cercati.

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